Atrofia vulvo-vaginale nella donna in menopausa: perché è importante riconoscerla, parlarne e curarla
Specialista in Medicina Fisica e Riabilitativa
Università La Sapienza Roma
L’atrofia vulvo-vaginale (AVV) è una condizione cronica molto comune in post-menopausa: si stima che il disturbo interessi una donna su due. La carenza estrogenica tipica di questa fase della vita della donna determina infatti un assottigliamento delle pareti vaginali che diventano più fragili e meno lubrificate; ecco perché compare secchezza e dolore durante il rapporto intimo e non solo. Pur essendo un disturbo così comune, l’atrofia vulvo-vaginale è ancora sottostimata da medici e pazienti. Parlare di questo disturbo con il Medico di medicina generale è un primo ma fondamentale passo per arrivare alla risoluzione del problema, che se adeguatamente gestito, rappresenta una concreta realtà.
La salute e la qualità della vita della donna dopo la menopausa rappresentano un tema di attualità sempre più importante. Infatti, al giorno d’oggi più del 95% delle donne raggiunge l’età della menopausa, con un’ulteriore aspettativa di vita superiore ai 30 anni. Circa la metà di tutte le donne in post-menopausa lamenta i sintomi tipici dell’atrofia genitale, che interferiscono pesantemente sulla qualità di vita e la funzione sessuale. I disturbi trofici si rendono clinicamente evidenti circa 4-5 anni dopo la menopausa.
Al contrario delle vampate di calore e delle sudorazioni notturne, che tendono a risolversi spontaneamente nel tempo, i sintomi da AVV peggiorano con il passare degli anni e nella maggior parte dei casi necessitano di un trattamento specifico.
La secchezza vaginale è un disturbo poco frequentemente riferito al proprio curante o al ginecologo, quindi assai spesso trascurato, in quanto ritenuto non pericoloso per la salute e attribuito dalla donna stessa all’inevitabile e naturale processo di invecchiamento. In realtà il suo impatto sulla donna e sulla relazione di coppia può essere rilevante e tale da meritare una attenzione sicuramente maggiore di quella che comunemente gli viene attribuita.
Menopausa
Il termine menopausa deriva dal greco: mensis=mese ; pausa=cessazione. Si definisce menopausa spontanea la cessazione dei flussi mestruali e la sua diagnosi viene posta retrospettivamente quando l’amenorrea si protrae per almeno 12 mesi consecutivi, escludendo che ciò possa essere attribuito ad altre cause fisiologiche o patologiche. Si tratta di un fenomeno fisiologico determinato dall’esaurimento degli ovociti a cui segue la cessazione della funzionalità ovarica e il deficit di produzione estrogenica. L’età interessata è quella tra i 45 e i 55 anni (1).
Una donna è in menopausa o che si sta avvicinando a questo momento sta indubbiamente vivendo una fase delicata della propria vita, accompagnata da sensazioni nuove, disturbi e paure. Svariati sono i sintomi e la loro frequenza e intensità variano nelle diverse fasi del periodo menopausale: i sintomi vasomotori (tipo le vampate di calore) risultano più intensi durante la fase di transizione menopausale tardiva e l’inizio della postmenopausa, con una prevalenza compresa fra il 60 e l’80% delle donne; i disturbi del sonno si presentano nel 32-40% nella fase iniziale della transizione menopausale, incrementandosi fino al 45% nella postmenopausa; disturbi vaginali e urinari (e in questo gruppo rientra l’atrofia vulvo-vaginale) sono più frequenti nella postmenopausa, con una prevalenza 3 anni dopo la menopausa del 47% e del 14% rispettivamente. Più del 60% delle donne in peri-postmenopausa presenta un declino di almeno uno degli aspetti della sfera sessuale (2).
Cause e sintomi dell'AVV
Prima di entrare in menopausa, il corpo della donna produce estrogeni che contribuiscono a lubrificare le pareti e a regolare l’equilibrio della flora batterica vaginale. Con l’interruzione del ciclo mestruale, invece, la quantità di questi ormoni diminuisce sensibilmente, portando a una modificazione della struttura dei tessuti vaginali (figura 1). La carenza di estrogeni si può verificare non solo in menopausa ma anche a causa di un intervento chirurgico o per una chemioterapia o per una radioterapia o per l’allattamento al seno. I sintomi che l’atrofia vulvo-vaginale può scatenare sono numerosi e comprendono: secchezza vaginale, ossia una sensazione di mancata lubrificazione naturale, non solo prima o durante un rapporto intimo, ma anche in momenti “normali”; prurito intimo, che a volte porta a confondere il disturbo con una infezione da Candida (figura 2), che talvolta determina un trattamento antimicotico che peraltro non risolve il sintomo, che addirittura può peggiorare; dolore e irritazione che solitamente seguono in ordine temporale al prurito, poiché la necessità di alleviarlo può provocare microlesioni al tessuto vaginale che nella atrofia vulvo-vaginale è assottigliato; dispareunia, ossia rapporti intimi dolorosi; alterazioni del pH vaginale con aumentato rischio di infezioni batteriche; perdite vaginali biancastre e a volte odorose; incontinenza urinaria; disuria, cioè il bruciore durante la minzione; bruciore post-coitale. I sintomi dell’atrofia vulvo-vaginale compaiono generalmente dopo 3-5 anni dal sopraggiungere della menopausa e risultano talmente fastidiosi che possono spesso condizionare la vita sessuale della donna e le sue relazioni in particolare per la secchezza e/o la dispareunia. L’atrofia vulvo-vaginale ovviamente può essere fonte di problemi anche nelle donne che non hanno attività sessuale regolare perché i tessuti perdono la normale elasticità e, in assenza di stimolazione, diventano sempre più delicati e secchi fino alla comparsa di microtraumi, escoriazioni e sanguinamenti spontanei a causa dell’assottigliamento progressivo dei genitali. Questo corteo sintomatologico implica la necessità di rivolgersi al proprio Medico di medicina generale che, assieme ai colleghi specialisti, saprà gestire la paziente in maniera appropriata, con l’obiettivo di un corretto inquadramento prima diagnostico e poi terapeutico (3).
Diagnosi
Nella pratica quotidiana il medico effettua diagnosi di atrofia vulvo-vaginale grazie al proprio giudizio clinico e con l’ispezione visiva, ci si basa cioè sull’anamnesi dei sintomi lamentati dalle pazienti e sull’esame obiettivo ginecologico che rileva i segni fisici sulle mucose esterne e vagina:
• perdita del cuscinetto adiposo delle labbra
• fusione tra le piccole e le grandi labbra
• pallore della mucosa vulvo-vaginale
• appiattimento delle pliche vaginali
• abrasioni post-coitali
• Secchezza delle mucose
È evidente che una vulva e una vagina atrofiche non abbiano più il turgore tipico dell’età fertile, ed è anche presente peluria ridotta.
Esiste tuttavia uno strumento di misurazione riproducibile e più obiettivo del disturbo: il Vaginal Health Index (VHI) o Indice della Salute Vaginale che, attraverso 5 parametri (elasticità vaginale, secrezioni vaginali, pH, mucosa epiteliale e umidità vaginale) consente di arrivare a un punteggio finale che definisce la presenza e il livello di AVV. Il punteggio totale può variare tra 5 e 25. I punteggi bassi corrispondono a maggiore atrofia urogenitale. Se il punteggio è inferiore a 15 la vagina è considerata atrofica. Circa il pH vaginale, quanto più ci si allontana dalla normale produzione ovarica tanto più questo tenda a salire progressivamente da 4 sale sino a 7. Il problema di un pH elevato, già superiore a 5.5-6, è rappresentato dalla scomparsa dei lattobacilli, importanti per la salute della vagina.
Questa procedura, ossia anamnesi, esame obiettivo e somministrazione questionario VHI consente al medico la corretta diagnosi, anche in termini di gravità e quindi conseguentemente di scegliere il corretto trattamento e di seguirne il follow-up in modo completo, verificando l’efficacia nel tempo della terapia, in modo da poter assicurare alla donna un nuovo benessere dal punto di vista fisico e psicologico, personale e relazionale. Esistono infatti cure mediche sistemiche e trattamenti locali per l’atrofia vaginale che, dopo attenta diagnosi, sono in grado di influire sulla stimolazione dell’epitelio e sulla rigenerazione del tessuto vulvo-vaginale, con il risultato di attenuare o correggere sensibilmente questa importante problematica.
Terapia
L’atrofia vulvo-vaginale è una condizione che può essere curata, ma è essenziale parlarne apertamente con il Mmg o con lo specialista e insieme vagliare la scelta più consona.
Le varie strategie terapeutiche di cui disponiamo per la gestione dell’atrofia vulvo-vaginale hanno come obiettivo: il recupero della fisiologia urogenitale (riportando alla normalità i parametri che sono stati alterati dall’ipoestrogenismo, come il pH, la lubrificazione, la poca vascolarizzazione), il miglioramento dei sintomi (come secchezza, prurito, prevenzione e cura delle infezioni genito-urinarie e della incontinenza, bruciore e dispareunia) e di conseguenza il mantenimento di una normale vita sessuale e relazionale. Le terapie possono essere distinte in ormonali, non ormonali e riabilitative. Rientrano nel gruppo delle terapie ormonali: la terapia ormonale sostitutiva (TOS), le terapie estrogeniche locali e il testosterone. Rientrano nel gruppo delle terapie non ormonali: i lubrificanti e gli idratanti topici, le preparazioni fitoestrogeniche, il prastenone, l’ospemifene, il laser CO2 vaginale, il lipofilling e la biostimolazione.
Sono molti a ritenere come le cure più efficaci siano le ormonali. Tra le indicazioni della terapia ormonale sostitutiva (TOS) per via sistemica sono inclusi infatti i sintomi urogenitali. I medicinali per la TOS sono stati studiati e hanno dimostrato una chiara e soddisfacente efficacia. La somministrazione di estrogeni esogeni ripristina il normale pH vaginale, ispessisce e rivascolarizza l’epitelio e aumenta la lubrificazione vaginale. Pertanto, la TOS allevia i sintomi correlati all’atrofia vaginale, che comprendono la secchezza, l’irritazione, il prurito e la dispareunia. Tuttavia la TOS comporta un aumentato rischio di tumore al seno, soprattutto se assunta oltre i 5 anni, ed è controindicata anche nella donne a rischio di tromboflebiti e di tromboembolie. Invece le cure ormonali locali, come gel, ovuli, tavolette e creme migliorano nettamente i problemi di secchezza e atrofia genitale, senza gravi controindicazioni, ma non in maniera definitiva (figura 3). Per quanto concerne gli estrogeni locali solitamente si usa l’estriolo ma in alternativa l’estradiolo, il promestiene o gli estrogeni coniugati. Sempre previa prescrizione medica, e per le stesse motivazioni, si può utilizzare una pomata di testosterone locale. La terapia ormonale locale può risolvere i problemi di secchezza e atrofia genitale nell’85% delle donne dopo la menopausa, meglio se la cura è iniziata subito dopo la scomparsa del ciclo.
Per quel gruppo di donne che non possono o non vogliono usare gli estrogeni, nemmeno locali è possibile usare l’acido ialuronico vaginale, che ha una eccellente azione riparativa e antiossidante (4).
Alcuni dati della letteratura hanno dimostrato un effetto benefico urogenitale delle preparazioni fitoestrogeniche, come gli isoflavoni della soia e del trifoglio rosso, ma queste preparazioni di origine naturale esercitano comunque effetti di tipo estrogenico. Dal momento che i dati di efficacia sono controversi e che non sono disponibili dati di sicurezza di questi preparati nelle donne con tumori ormono-sensibili, bisogna essere cauti nel raccomandarli in queste condizioni cliniche.
Disponibile da qualche anno un nuovo ed efficace prodotto, sotto forma di ovuli vaginali, a base di prasterone, l’equivalente sintetico del deidroepiandrosterone (DHEA), biochimicamente e biologicamente identico al DHEA umano endogeno. Si tratta di un farmaco ad azione locale, che non ha ricevuto alcuna limitazione nella sua durata d’uso, quindi può essere assunto a lungo termine per rigenerare l’epitelio vaginale e ritrovare la giusta lubrificazione. Il DHEA intravaginale, agendo non solo sull’epitelio ma anche sulla produzione di collagene e di fibre muscolari della parete vaginale, si pone come strategia terapeutica per quel 40% di donne con atrofia e dispareunia non responsiva alla terapia sistemica o per quelle donne che non trovano sufficienti vantaggi dai soli estrogeni locali. L’efficacia del prasterone è stata testata con due studi condotti negli Stati Uniti e in Canada, in donne in post-menopausa di età compresa tra i 40 e gli 80 anni. Dopo 12 settimane di trattamento con il farmaco, la variazione dai valori basali rispetto al trattamento con placebo ha dimostrato considerevoli miglioramenti, superiori anche al 40%. Positivi anche i risultati relativi a desiderio, eccitazione, lubrificazione, orgasmo, soddisfazione e dolore: migliorati dal 33% al 56.8% dopo la somministrazione intravaginale giornaliera. Dunque, il DHEA-prasterone è utile nel contrastare il dolore intimo e consente di affrontare il problema della secchezza vaginale e altri sintomi correlati.
Il laser CO2 vaginale è un trattamento di ultima generazione che si basa sull’utilizzo della luce laser ad anidride carbonica (figura 4). Ottiene la rigenerazione del tessuto atrofico. In pratica, si tratta di un foto-ringiovanimento vaginale che corregge la riduzione di volume della mucosa, la rimodella e ne ripristina idratazione ed elasticità. È un trattamento indolore, che non prevede l’uso dell’anestesia, minimamente invasivo, si esegue in ambulatorio. Gli effetti collaterali sono rari e comunque lievi e transitori (lieve arrossamento e gonfiore). Sono assenti le controindicazioni. Il trattamento può essere effettuato anche in pazienti che hanno avuto una pregressa neoplasia ormono-sensibile. Tramite un apposito manipolo della grandezza di un normale speculum vengono emessi delicati impulsi dentro la vagina. L’energia trasmessa aumenta l’irrorazione sanguigna, apporta maggior nutrimento e stimola la produzione ex novo di collagene e fibre elastiche attraverso la riattivazione dei fibrociti in fibroblasti, le cellule deputate al buon funzionamento dell’elasticità dei tessuti, con chiaro miglioramento sia della risposta sessuale che dei sintomi urinari (5).
Il trattamento per l’atrofia vulvo-vaginale viene eseguito in 3 sedute, a distanza di 4-6 settimane l’una dall’altra. Ogni seduta dura 10 minuti e si divide in 3 fasi:
• vaginale: migliora la lubrificazione e l’elasticità di vagina e vescica
• vulvare: migliora la lubrificazione e la elasticità della vulva, riducendo di fatto il dolore alla penetrazione
• periuretrale: controllando le piccole perdite involontarie di urina che si verificano dopo uno sforzo e prevenendo le cistiti post-coitali.
La durata dei benefici ottenuti dura mediamente 12-18 mesi, in seguito è possibile un’unica seduta di richiamo. In menopausa post-oncologica il trattamento si può eseguire già 6 mesi dopo la fine di radio- e chemioterapia e durante la terapia adiuvante con antiestrogeni dopo tumore mammario.
Il laser vaginale è efficace ma anche più costoso rispetto alle altre opzioni terapeutiche e non elargito dal SSN (6).
L’ospemifene è un farmaco orale modulatore selettivo del recettore degli estrogeni, da poco in commercio anche in Italia. Il suo obiettivo è quello di comportarsi come un ormone, pur non essendolo, andando ad agire sui sintomi e sulle cause dell’atrofia vulvare e vaginale. Disponibile in farmacia su prescrizione medica, il farmaco ha dimostrato di essere efficace e ben tollerato anche dalle donne che presentano un’anamnesi di carcinoma mammario e per cui hanno terminato il trattamento (7).
Riguardo alla riabilitazione pelvica studi recenti ci consentono di asserire che essa rappresenta di certo un ottimo modo per lavorare sul tessuto vaginale dall'interno, senza quindi utilizzare farmaci. Con la medicina fisica e riabilitativa si può ottenere una maggiore elasticità dei tessuti, una normalizzazione del tono muscolare, una desensibilizzazione dell’area vestibolare, maggiore sensibilità sessuale e maggiore autonomia e controllo urinario. Nel corso del primo appuntamento lo specialista fisiatra individua il percorso più adatto alla paziente; le sedute avranno successivamente cadenza settimanale. La terapia include manipolazioni, massaggio vaginale, streatching dei tessuti vaginali, esercizi di Kegel e altri esercizi terapeutici, la discussione delle misure igienico comportamentali e in casi selezionati l’utilizzo del biofeedback e dell’elettrostimolazione con funzione antalgica. Verrà spiegata alla paziente la relazione esistente tra i suoi sintomi, la menopausa e la componente muscolare del pavimento pelvico, e affidata a un fisioterapista o a una ostetrica esperta del settore. La paziente verrà educata ad eseguire gli esercizi anche a casa e le verrà insegnato l’automassaggio, tecnica che potrà pertanto praticare con regolarità al proprio domicilio. In alcuni casi si inserisce nel percorso terapeutico l’utilizzo del biofeedback elettromiografico, tecnica assolutamente indolore che permette di vedere sul monitor di un computer l’azione muscolare del pavimento pelvico, con l’obiettivo di ridurre progressivamente l’ipertono. In casi selezionati al termine della seduta potrà essere applicata elettrostimolazione, a scopo analgesico e miorilassante (8). Il trattamento multidisciplinare dell’atrofia vulvo-vaginale oltre che prevedere l’uso di trattamenti ormonali, non ormonali di tipo farmacologico, strumentale o fisiochinesiterapico, potrebbe prevedere anche incontri di consulenza sessuologica, sempre nell’ottica della comprensione, della collaborazione e de dialogo (9).
Conclusioni
Sebbene abbia un impatto notevole sulla vita della donna e della coppia, l’atrofia vulvo-vaginale è ancora oggi considerate argomento tabù. Risulta necessario un incoraggiamento forte al dialogo tra paziente e personale sanitario trattandosi di un disturbo assai sgradevole ma reversibile utilizzando opzioni terapeutiche che siano individualizzate e appropriate. La Società Internazionale di Menopausa ha raccomandato di iniziare il prima possibile il trattamento dell’atrofia vulvo-vaginale per prevenire modifiche atrofiche irreversibili. Parliamo di terapia a lungo termine, in quanto la sua interruzione ripristina il palesarsi dei sintomi d’esordio. Fondamentale per tal motivo il profilo di sicurezza terapeutico, il lavoro di gruppo e la compliance da parte della paziente.
Bibliografia
1. Takahashi TA, Johnson KM. Menopause. Med Clin North Am 2015.
2. Calleja-Agius J, Brincat MP. The urogenital system and the menopause. Climacteric 2015.
3. Nappi RE, et al. Diagnosis and management of symptoms associated with vulvovaginal atrophy: expert opinion on behalf of the Italian VVA study group. Gynecol Endocrinol 2016
4. Origoni M, et al. Postmenopausal vulvovaginal atrophy (VVA) is positively improved by topical hyaluronic acid application. A prospective, observational study. Eur Rev Med Pharmacol Sci 2016
5. Arroyo C. Fractional CO(2) laser treatment for vulvovaginal atrophy symptoms and vaginal rejuvenation in perimenopausal women. Int J Womens Health 2017.
6. Pieralli A, et al. Long-term reliability of fractioned CO(2) laser as a treatment for vulvovaginal atrophy (VVA) symptoms. Arch Gynecol Obstet 2017
7. Goldstein I, et al. Effects of ospemifene on genitourinary health assessed by prospective vulvar-vestibular photography and vaginal/vulvar health indices. Menopause 2019
8. Mercier J, et al. Pelvic floor muscles training to reduce symptoms and signs of vulvovaginal atrophy: a case study. Menopause 2016
9. Graziottin A. Vaginal Biological and Sexual Health-The Unmet Needs. Climacteric, 2015; 18: 9-12.