
Il Governo ha previsto un investimento di 250 milioni di euro all'anno per il 2025 e il 2026 per l’assunzione di medici di famiglia, specialisti e infermieri, un intervento volto a risolvere la carenza di personale che ha messo in difficoltà molte regioni italiane. Tra le altre misure, è prevista anche l’istituzione di una scuola di specializzazione universitaria nazionale per la medicina di famiglia, un passo che potrebbe rendere nuovamente attrattiva questa professione e incentivare la partecipazione ai concorsi pubblici.
Non mancano però le critiche. La Fimmg accoglie con scetticismo la proposta delle Regioni e teme che la dipendenza possa compromettere il rapporto fiduciario tra medico e paziente, citando l'esperienza di Spagna e Portogallo, dove l’accesso ai medici avviene tramite piattaforme digitali e il contatto diretto con i pazienti è ridotto. Silvestro Scotti, segretario generale della Fimmg, avverte: "Non servono riforme pasticciate, ma più risorse e borse di studio per rendere attrattiva la Medicina generale". Scotti insiste anche sulla necessità di affrontare la crisi delle vocazioni, sottolineando il rischio che la dipendenza allontani i giovani medici dalla professione."Serve un piano serio per risolvere la carenza di medici. Il sistema attuale garantisce l’autonomia degli ambulatori e il rapporto diretto con i pazienti: trasformare i medici di famiglia in dipendenti significa snaturare questa realtà".
Ancora più netta è la bocciatura della Federazione dei medici territoriali (Fmt). Il segretario nazionale Francesco Esposito denuncia l'assenza di dialogo con i medici nella formulazione della bozza: "Una proposta unilaterale e irricevibile per metodo e contenuti. Se da un lato Esposito riconosce la validità dell’introduzione della specializzazione in medicina di famiglia, dall’altro critica duramente l’intenzione di promuovere la dipendenza dei medici, accusando le Regioni di voler smantellare l’autonomia e la capillarità degli ambulatori di medicina generale.
Fmt sottolinea che il sistema attuale, con la sua rete di ambulatori, già risponde alle esigenze assistenziali delle diverse realtà territoriali, dalle città alle aree rurali. "I medici di famiglia già lavorano fino o oltre le 40 ore settimanali, anche per colpa dei carichi burocratici impropri. Non hanno tutele, né malattia, ferie o maternità. Invertiamo la rotta: meno burocrazia, più diritti e risorse per personale amministrativo e infermieristico", aggiunge Esposito, criticando l’obbligo di destinare almeno 18 ore settimanali alle Case di Comunità.