
A dibattere sulle evidenze del 20° Rapporto Crea Sanità, presentato presso la sede del Cnel (con il quale Crea Sanità collabora per le analisi degli aspetti sanitari legati alle performance della pubblica amministrazione), per la prima volta sono stati sei ex ministri della Sanità/Salute che si sono succeduti alla guida del Ssn negli ultimi 30 anni e che hanno affrontato la discussione in modo propositivo (anche in modo politico, ma non partitico, tanto che non sono coinvolti gli ultimi due Ministri della Salute), basandosi sull’impulso che loro stessi sono stati capaci di dare al Servizio Sanitario.
L’analisi del Crea Sanità, a supporto delle scelte politiche, fa il punto degli elementi da cui partire per un ripensamento del sistema, sfruttando confronti a livello internazionale e nazionale, nonché un focus Regione per Regione dei risultati positivi e negativi che le caratterizzano.
Oggi l’Italia è il più ricco dei Paesi Eu “più poveri” e per quanto riguarda la salute sarebbero necessari almeno 20 miliardi di euro (+11,3% del finanziamento attuale) per allineare la spesa agli standard europei, tenendo conto delle compatibilità macro-economiche; ma per raggiungere i necessari livelli di organici (il personale carente è uno dei principali impedimenti allo sviluppo) e con stipendi degni dei confronti internazionali, servirebbero almeno 20/30 miliardi di euro.
La controprova della necessità di una teorica crescita del finanziamento di almeno 40 miliardi è, secondo il Rapporto, evidente nel dato della spesa sanitaria che i cittadini sostengono: circa 42 miliardi di euro, che sono sostenuti direttamente per soddisfare i bisogni sanitari. E che queste somme non siano per spese inutili, lo dimostra il fatto che per oltre il 20% sono sostenute da famiglie “povere”, che davvero se potessero farebbero a meno di pagarle di tasca propria. Stima del fabbisogno aggiuntivo peraltro sottostimata, considerando la “non spesa” spesa dei 2,5 milioni di persone che rinunciano alle cure.
In sintesi, la manutenzione del Ssn non basta più, c'è bisogno di una trasformazione il cui obiettivo principale deve essere quello di rendere il Ssn capace di riallineare le “promesse” alle risorse disponibili, evitando razionamenti impliciti che sono per definizione oggetto di ingiustizia perché penalizzano la popolazione più fragile, in termini di salute ma, ancor di più, di censo e di literacy sanitaria. Per raggiungere questo obiettivo, l’intervento pubblico deve allargare i suoi confini, rinunciando ad arroccarsi sull’idea di una posizione egemonica del servizio pubblico, occupandosi della governance di tutto il sistema sanitario, compresa la (rilevante) quota di servizi sanitari oggi classificati come sanità privata.
Per razionalizzare è prima necessario aprire un dibattito sui principi a cui ispirarsi: tra le opzioni che possono essere dibattute quella di agire in base alla severità clinico/assistenziale dei bisogni (priorità alle patologie più severe), oppure in base al merito delle risposte (dando priorità agli interventi a maggiore valore terapeutico o valore sociale). O ancora in base alle barriere all’accesso (dando priorità ai bisogni dei meno abbienti e/o dei meno “sanitariamente alfabetizzati”).
“Avere una vision implica priorità – afferma il Rapporto - e darsele implica, per definizione, fare scelte politicamente ‘scomode’: una considerazione che porta ad affermare che è necessaria una condivisione super-partes sull’adeguamento dei principi dell’intervento pubblico (governance) in Sanità, che eviti il rischio che la Sanità sia oggetto di mero scontro partitico".