EvdPassare da una sanità “reattiva” a una “proattiva” non è solo uno slogan, ma l’obiettivo dichiarato del Decalogo della prevenzione presentato dal Ministero della Salute agli Stati Generali della prevenzione. Un documento ambizioso che invita a ripensare le politiche sanitarie ponendo la prevenzione al centro della strategia pubblica. Il principio guida è chiaro: investire oggi nella salute per evitare i costi sanitari e sociali di domani. Tuttavia, al di là delle intenzioni condivisibili, il vero interrogativo resta l’effettiva sostenibilità di queste misure, in un contesto in cui i fondi per la prevenzione continuano a rappresentare una quota marginale del finanziamento sanitario nazionale.
Le dieci azioni per invertire la rotta
   Il decalogo individua dieci fronti prioritari d’azione:
1.    Promozione di stili di vita sani attraverso educazione alimentare, attività fisica e contrasto al fumo e all’alcol.
2.    Prevenzione scolastica, con azioni mirate contro la dispersione e per l’educazione alla salute.
3.    Sicurezza nei luoghi di lavoro, con attenzione al benessere psicofisico.
4.    Vaccinazioni e screening, da rilanciare non solo quantitativamente ma anche qualitativamente.
5.    Contrasto alle disuguaglianze socio-territoriali, promuovendo un accesso più equo ai servizi.
6.    Gestione delle cronicità, specie in una popolazione che invecchia rapidamente.
7.    Innovazione digitale, con strumenti come il Prevention Hub e modelli predittivi basati sui dati.
8.    Approccio One Health, che integra salute umana, animale e ambientale.
9.    Partecipazione civica, riconosciuta come leva fondamentale di efficacia.
10.    Comunicazione pubblica efficace, per combattere disinformazione e favorire consapevolezza.

Parole giuste, risorse inadeguate. L’approccio è moderno e condivisibile, ma stride con la realtà dei numeri. Secondo dati recenti, meno del 5% della spesa sanitaria in Italia è destinato alla prevenzione, una quota già contenuta rispetto alla media dei Paesi europei con sistemi simili. Ma il problema non si esaurisce nella percentuale. Come ha sottolineato Angela Adduce del Dipartimento della Ragioneria dello Stato (Mef), intervenendo agli Stati generali della prevenzione, “l'obiettivo che ci dobbiamo porre come Paese, prima ancora di discutere della congruità di quel 5%, è far sì che chi oggi non utilizza pienamente quelle risorse cominci a farlo”. I dati del Ministero confermano infatti che ben dodici Regioni – tra cui Piemonte, Veneto, Toscana, Lazio, Puglia e Calabria – non riescono a spendere interamente il budget assegnato, che complessivamente ammonta a circa 6 miliardi di euro. Il rischio, come già accaduto in passato, è che i decaloghi restino esercizi di buona volontà senza un impatto reale su strategie e pratiche territoriali.
Un cambio di rotta possibile, ma non automatico.  Il documento sottolinea anche l’importanza di tecnologie avanzate, dell’integrazione tra servizi, della telemedicina e della formazione degli operatori sanitari, ma senza una revisione strutturale dei finanziamenti, la capacità operativa del sistema resta limitata.
In definitiva, il Decalogo della prevenzione rappresenta un passo nella giusta direzione. Ma perché la prevenzione smetta di essere solo una voce nei convegni e diventi davvero un investimento strutturale, serviranno scelte politiche più coraggiose e uno stanziamento di risorse coerente con le priorità dichiarate.