Il dato è ancora più allarmante se si osservano le differenze tra Paesi: in Grecia, ad esempio, la percentuale di rinunce supera il 21%, mentre in Finlandia e Estonia si attesta rispettivamente al 12,4% e all’11,2%. Al contrario, in nazioni come Malta, Cipro e Repubblica Ceca, il fenomeno è quasi assente. Ma ciò che colpisce maggiormente è il divario tra chi vive in condizioni di povertà e chi no: tra i cittadini a rischio, la rinuncia alle cure sale al 6%, contro il 3,2% del resto della popolazione.
In Italia, secondo Eurostat, sono circa 1,4 milioni le persone che hanno rinunciato alle cure. Di queste, 1,2 milioni lo hanno fatto per motivi economici, mentre 240.000 hanno incontrato ostacoli legati alle liste d’attesa. Il dato italiano, pari al 2,6% della popolazione sopra i 16 anni, è in miglioramento rispetto a dieci anni fa, ma resta significativo.
Il fenomeno colpisce in modo trasversale, ma con alcune differenze:
- Le donne risultano più penalizzate degli uomini.
- Gli over 65 incontrano più ostacoli (3,3%) rispetto ai giovani tra i 16 e i 44 anni (1,9%).
- Tra chi vive in condizioni di povertà, il 6% ha rinunciato alle cure, contro il 3,2% di chi non è in situazione di fragilità.
- Particolarmente critiche sono le cure odontoiatriche: il 4,6% degli europei non ha potuto riceverle, con punte del 15,3% in Grecia e del 12% in Lettonia. In Italia e Spagna, oltre i tre quarti delle rinunce sono dovute a motivi economici.
Questi dati sollevano interrogativi profondi sulla tenuta del Servizio Sanitario Nazionale e sul ruolo della medicina di base. Il medico di famiglia, spesso unico punto di riferimento per i pazienti, si trova a fronteggiare non solo problemi clinici, ma anche barriere sociali e organizzative. In un contesto di crescente disuguaglianza, il suo ruolo diventa cruciale per intercettare il disagio, orientare i pazienti e garantire continuità assistenziale.
Per affrontare il fenomeno della rinuncia alle cure, servono politiche sanitarie più inclusive, investimenti nella medicina territoriale, semplificazione dei percorsi di accesso e una maggiore integrazione tra pubblico e privato
Questi numeri non possono lasciare indifferenti i Mmg, che rappresentano il primo presidio sanitario sul territorio. Il loro ruolo è cruciale non solo per la diagnosi e la cura, ma anche per intercettare precocemente i segnali di disagio, orientare i pazienti nel labirinto burocratico e offrire ascolto e continuità assistenziale. In un sistema che rischia di diventare sempre più frammentato e distante, il medico di famiglia può essere il ponte tra il cittadino e la sanità pubblica.
Occorre però che la medicina generale venga messa nelle condizioni di agire con efficacia: servono investimenti, semplificazioni, integrazione con i servizi specialistici e valorizzazione del ruolo del medico di base nella programmazione sanitaria. Solo così si potrà contrastare il fenomeno della rinuncia alle cure e restituire alla salute il suo valore universale.
I dati Eurostat non sono solo statistiche: sono un appello. E la risposta, oggi più che mai, passa anche dalla medicina del territorio.