EvdL’ipovitaminosi D deve essere considerata un fattore di rischio cardiovascolare modificabile. È questo il messaggio del documento di consenso elaborato da 31 esperti afferenti a 20 università italiane e promosso dall’Istituto Nazionale per la Ricerca Cardiovascolare (Inrc), consorzio che riunisce atenei con competenze integrate tra ricerca clinica e di base. Pubblicato sulla rivista internazionale Nutrients, il testo avvia un cambiamento di paradigma nella gestione della vitamina D in ambito cardiologico, con un approccio clinico personalizzato basato su dosaggio, monitoraggio e definizione di target terapeutici individuali.

Vitamina D e cuore
Il documento di consensus dal titolo “A Personalized Approach to Vitamin D Supplementation in Cardiovascular Health Beyond the Bone” evidenzia come la vitamina D, da sempre correlata alla salute dello scheletro, svolga un ruolo rilevante anche nel mantenimento della salute cardiovascolare. La carenza di vitamina D è associata a un aumento del rischio di ipertensione arteriosa, aterosclerosi, infarto miocardico e ictus.
"Le evidenze che collegano bassi livelli di vitamina D a un aumentato rischio cardiovascolare erano già disponibili, ma frammentarie", spiega la professoressa Anna Vittoria Mattioli (Alma Mater Studiorum - Università di Bologna), prima firmataria del documento. "Con questo consensus – continua Mattioli – abbiamo voluto fornire una sintesi critica e operativa, utile anche al clinico nella pratica quotidiana. L’ipovitaminosi D va considerata un nuovo fattore di rischio modificabile, come già accade per altri biomarcatori".
Il professor Francesco Fedele (Sapienza Università di Roma), presidente Inrc, aggiunge: "Esiste una discrepanza tra le evidenze osservazionali, che mostrano l’associazione tra ipovitaminosi D e patologie cardiovascolari, e l’assenza di risultati conclusivi sull’efficacia clinica della supplementazione. Da qui è nata l’esigenza di fare chiarezza con un documento che analizzasse la letteratura e proponesse una nuova prospettiva metodologica per studi futuri".

Vitamina D: un ormone, non un integratore
Il testo chiarisce che la vitamina D non è un semplice integratore, ma un ormone attivo su più fronti fisiopatologici, inclusi il sistema renina-angiotensina aldosterone (Raas), il metabolismo lipidico, lo stato infiammatorio e la funzione endoteliale. "Abbiamo voluto andare oltre l’osso: la vitamina D è un modulatore sistemico e come tale deve essere valutata, dosata e utilizzata secondo logiche terapeutiche – prosegue Fedele – e non possiamo limitarci a somministrare dosaggi fissi a tutti: è necessario identificare i livelli basali, definire un target terapeutico e valutare l’effetto clinico, soprattutto in soggetti ad alto rischio, come i pazienti con insufficienza cardiaca".

Il cambio di paradigma: dal “one size fits all” al “treat-to-target”
I limiti degli studi precedenti sono noti alla comunità scientifica: mancata selezione della popolazione in base al rischio cardiovascolare, assenza di personalizzazione nei dosaggi, durata standardizzata dei trattamenti. Mattioli sottolinea: "Gli studi interventistici condotti negli anni passati applicavano un approccio “one size fits all”, ma la risposta alla supplementazione è influenzata da molti fattori: esposizione solare, dieta, attività fisica, stato metabolico. Nel nostro consensus proponiamo un modello “treat-to target”: bisogna misurare i livelli di vitamina D del paziente, definire l’obiettivo della terapia in caso di carenza, adattare il trattamento in base alla risposta e monitorare nel tempo i risultati. È lo stesso principio che già applichiamo per la gestione delle dislipidemie o della ipertensione arteriosa".

Le prospettive: medicina di precisione e nuovi studi clinici
Il lavoro rappresenta un importante punto di partenza, ma non di arrivo. Il gruppo di esperti dell’Inrc è già al lavoro su un nuovo studio clinico, che coinvolgerà pazienti con insufficienza cardiaca, sia con frazione di eiezione preservata che ridotta. "Così come la terapia marziale ha dato esiti positivi nei pazienti con scompenso, anche la supplementazione mirata di vitamina D potrebbe rivelarsi una leva terapeutica importante, con benefici concreti in termini di risultati clinici", precisa Fedele. Il consensus rappresenta dunque un punto di svolta: si propone come base scientifica condivisa per guidare la supplementazione di vitamina D in campo cardiovascolare, prospettando una strategia personalizzata, che considera la carenza basale, l'età, le comorbidità e lo stile di vita dei pazienti, e integrando i concetti di medicina di precisione, fisiopatologia endocrina e cardiologia preventiva.
"Abbiamo applicato le nostre competenze in ambito cardiovascolare per ridefinire l’approccio alla vitamina D e superare l’idea che sia destinata esclusivamente a bambini, donne in menopausa e anziani per contrastare la fragilità ossea", conclude Mattioli.