Il caso Latina riaccende il dibattito su scala nazionale inerente all'appropriatezza prescrittiva. Cinque medici di medicina generale operanti nella Asl sono stati coinvolti in un provvedimento amministrativo di recupero pari a oltre 15.800 euro, a seguito di un controllo campionario sulle prescrizioni emesse nel 2024. L’episodio riflette le sfide quotidiane di migliaia di medici di medicina generale, chiamati a conciliare autonomia clinica, sostenibilità economica e responsabilità condivise all’interno di un sistema complesso in cui la pratica quotidiana impone ai medici di famiglia scelte che non sempre trovano riscontro nelle schede tecniche. Un confronto che oggi riguarda non solo i singoli professionisti, ma l’intera architettura del sistema prescrittivo I dati emersi riguardano 722 ricette non aderenti alle schede tecniche dei farmaci, con criticità che hanno interessato circa 200 pazienti. Tra le principali incongruenze rilevate: dosaggi superiori ai limiti autorizzati per farmaci di uso comune — inibitori di pompa protonica, statine, vitamina D ed eparine — e l’utilizzo di analgesici nella gestione dell’Herpes Zoster in assenza di trattamento antivirale concomitante.
La Asl ha chiarito che non sussistono profili penali o disciplinari. Il provvedimento si inserisce nell’ambito della buona amministrazione e del contenimento della spesa pubblica, con la restituzione prevista tramite trattenute salariali. Il caso vuole rafforzare il principio dell’appropriatezza prescrittiva, elemento chiave per coniugare il diritto alla cura con la sostenibilità del Ssn.
Un modello già rodato: il ruolo delle Capie la formazione continua. A offrire una lettura più equilibrata è intervenuto il segretario regionale della Fimmg Lazio, Gianni Cirilli, che ha sottolineato come le Commissioni per l’Appropriatezza prescrittiva integrata (Capi) siano attive nella Asl di Latina da oltre sette anni, con il coinvolgimento e il consenso dei sindacati. Su circa 400 medici del distretto, solo cinque sono stati oggetto di provvedimenti, a dimostrazione dell’efficacia del modello.
Il lavoro delle Capi si fonda su un approccio collaborativo: audit periodici, formazione obbligatoria e scambio tra pari hanno contribuito, nel tempo, al miglioramento degli indicatori di appropriatezza e alla diffusione di buone pratiche.
Appropriatezza tra regole e realtà: un sistema da riequilibrare. Il nodo, come evidenziato dallo stesso Cirilli, sta nella difficoltà di conciliare le raccomandazioni tecnico-regolatorie con la complessità della pratica clinica quotidiana. Il medico di famiglia è spesso chiamato a tradurre in ricetta rimborsabile prescrizioni espresse da specialisti, strutture ospedaliere o riportate verbalmente dai pazienti. Queste situazioni generano ambiguità che possono sfuggire agli automatismi normativi, ma che sono parte integrante del lavoro sul territorio.
Il rischio, se non governato, è quello di trasformare lo strumento del controllo in una leva sanzionatoria anziché educativa. “Non servono sceriffi, ma motivatori” — così Cirilli sintetizza l’esigenza di un approccio equilibrato e orientato al miglioramento, più che alla repressione.
Una riflessione nazionale: strumenti, formazione, responsabilità condivise. L’appropriatezza non può essere demandata solo alla diligenza individuale dei medici, ma deve poggiare su un sistema che favorisca coerenza tra raccomandazioni, accesso ai dati, supporti decisionali e formazione continua. La recente attivazione da parte dell’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali della Piattaforma Nazionale delle Liste di Attesa segna un passo importante verso la trasparenza e la tracciabilità.
Lo stesso va fatto sul fronte prescrittivo, affinché i medici possano lavorare con strumenti aggiornati, tempi sostenibili e orientamento condiviso. In gioco non c’è solo la correttezza della singola ricetta, ma la tenuta etica, clinica ed economica di un sistema che affida ai medici di famiglia il compito di presidiare la prima linea della salute pubblica.