EvdNel cuore del sistema sanitario italiano si sta aprendo una frattura sempre più profonda: quella della carenza dei medici di medicina generale, che oggi coinvolge oltre 1,5 milioni di cittadini già privi di assistenza di base. Complici l’invecchiamento della categoria – il 77% dei professionisti ha più di 54 anni – e l’uscita prevista dal sistema di oltre 35.000 medici entro il 2027, il futuro dell’assistenza primaria è appeso a un filo.
Soffocati da massimali superati, ambulatori sotto pressione e una burocrazia crescente, più della metà dei medici di famiglia gestisce oggi carichi superiori ai 1.500 assistiti, con un impatto diretto sulla qualità dell’assistenza e sul benessere lavorativo.
Formazione in affanno, borse disertate. Nemmeno il canale formativo riesce più a invertire la tendenza: i bandi regionali per la scuola di formazione in Medicina generale mostrano tassi allarmanti di borse scoperte, con punte superiori al 15% in molte Regioni. Le cause sono note e ribadite da anni: condizioni di lavoro percepite come logoranti, retribuzioni poco attrattive, incertezze contrattuali e scarsa tutela. A questo si aggiunge il limbo normativo legato al possibile passaggio dal regime convenzionale alla dipendenza, ancora privo di una visione chiara, che blocca le scelte dei giovani medici.
Il paradosso Friuli: 404 zone carenti, 22 risposte. A rendere il quadro ancora più drammatico, casi come quello del Friuli Venezia Giulia, dove ad aprile sono state bandite 404 zone carenti tra medicina generale e continuità assistenziale. Le domande ricevute? Solo 22. Un dato che conferma la perdita totale di attrattività della professione. “Il lavoro del medico di famiglia è diventato difficile e pesante”, denuncia Fernando Agrusti (Fimmg Fvg), “tanto da spingere anche chi accetta l’incarico a rinunciarvi”.
La grande fuga: medici formati, ma in partenza. Nel frattempo, cresce la migrazione dei giovani medici all’estero, attratti da sistemi che offrono migliori tutele, stipendi più alti e condizioni di lavoro più eque. Un paradosso che molti definiscono inaccettabile: “Abbiamo formato professionisti che poi perdiamo per mancanza di visione e valorizzazione. È un doppio fallimento”, denuncia il presidente dell’Ordine dei medici di Piacenza, Augusto Pagani.
Il caso Piacenza: pensionamenti e ruoli deserti. Proprio a Piacenza, il combinato disposto tra uscite per pensionamento e scarsa adesione ai nuovi ruoli obbligatori previsti dal contratto nazionale rischia di paralizzare interi territori. “Una sconfitta annunciata”, secondo Nicola Arcelli (Snami), che trova eco nelle parole di Michele Argenti (Fimmg Piacenza): “La medicina di famiglia rischia il collasso”.
I sindacati: servono soluzioni adesso. Dalle sigle rappresentative arrivano proposte chiare: remunerazioni adeguate, flessibilità nei massimali per chi ne ha diritto, sostegno alle esigenze di conciliazione famiglia-lavoro soprattutto per le donne medico e un taglio netto alla burocrazia che toglie tempo ed energie all’assistenza. “Non basta aumentare il numero di borse – avverte ancora Pagani – se non si investe da subito nella qualità del lavoro e nella dignità del ruolo, i giovani continueranno a voltare le spalle alla medicina territoriale.”
In gioco non c’è solo il destino di una categoria, ma la tenuta stessa di una rete capillare e universale che ha garantito per decenni la tenuta del Servizio sanitario nazionale. Senza un piano straordinario, strutturato e tempestivo, la medicina di famiglia rischia di non trovare più... chi la faccia.