Il caso sollevato dal Sindacato medici italiani  (Smi) in Calabria ha acceso un faro su una questione che riguarda l’intera medicina generale italiana. Un medico dell’Asl di Cosenza è stato destinatario di una richiesta di addebito economico di circa 2.000 euro da parte della Commissione Capd, per presunte prescrizioni eccedenti di inibitori di pompa protonica (Ipp). Secondo Sinibaldo lemboli, segretario regionale Smi Calabria, si tratta di una sanzione immotivata, basata su una logica “puramente matematica”. “L’appropriatezza prescrittiva non può essere solo un calcolo aritmetico - ha dichiarato -  che tiene conto del fattore spesa. È inaccettabile che si giudichi l’operato di un medico sulla base di medie contabili, ignorando la complessità clinica e la personalizzazione delle cure”, ha sottolineato il segretario.
Il sindacato ha formalmente diffidato la Commissione Capd, ritenendo l’addebito privo di giustificazione clinica e lesivo della dignità professionale del medico coinvolto.

Il contesto nazionale: modelli di controllo e criticità

In diverse regioni italiane, come l’Abruzzo, sono stati avviati programmi di monitoraggio dell’appropriatezza prescrittiva tramite piattaforme digitali e commissioni dedicate. Questi strumenti mirano a migliorare la qualità dell’assistenza, ridurre sprechi e garantire cure più efficaci. Tuttavia, il rischio di una deriva burocratica è concreto, soprattutto quando i controlli si basano su indicatori economici e non su valutazioni cliniche.
Secondo l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), l’appropriatezza prescrittiva deve basarsi su evidenze scientifiche, indicazioni terapeutiche e valutazioni individuali del paziente. La giurisprudenza contabile ha chiarito che non è possibile sanzionare economicamente un medico se non in presenza di errori macroscopici, privi di giustificazione clinica, e connotati da colpa grave o dolo.
Il segretario Smi Calabria pone una domanda cruciale: chi è legittimato a giudicare l’appropriatezza dell’operato di un medico di medicina generale? “Affidiamo questo compito a commissioni di burocrati delle Asl?”, si chiede. E aggiunge: “I medici di famiglia hanno completato un lungo percorso formativo e operano con una presa in carico personalizzata dei pazienti. Le decisioni terapeutiche non possono essere standardizzate né misurate con algoritmi contabili”.
Il sindacato sottolinea che ogni ulteriore iniziativa sanzionatoria, in assenza di motivazione clinico-giuridica, costituirebbe un atto lesivo della dignità del professionista e potrebbe esporre l’Asl a responsabilità risarcitorie.
Verso un modello condiviso
Il caso di Cosenza può diventare un punto di partenza per una riflessione più ampia. Serve un modello di controllo clinicamente fondato, che coinvolga i medici nella definizione degli standard e promuova il miglioramento continuo della pratica. L’obiettivo non deve essere la sanzione, ma la clinical governance, basata su responsabilità, trasparenza e confronto tra pari.