È allarme tra i professionisti della sanità per il testo del Disegno di legge sulle prestazioni sanitarie, approvato al Senato e ora al vaglio della Camera dei deputati. Nel provvedimento è infatti sparita ogni menzione alla competenza esclusiva dei medici in merito a diagnosi, prognosi e terapia, un silenzio che rischia di avere conseguenze significative sull’assetto della professione e sulla qualità delle cure. La denuncia arriva da più parti, con Guido Quici, presidente della Federazione Cimo-Fesmed, che riunisce le sigle Anpo, Ascoti, Cimo, Cimop e Fesmed, che parla apertamente di un tentativo di uniformare impropriamente le professioni sanitarie, scavalcando i confini delle rispettive competenze.
"Dal primo periodo del testo del Ddl Prestazioni sanitarie, approvato in Senato e in attesa ora dell’esame della Camera, sono magicamente sparite tre parole: se il testo originale infatti parlava di diagnosi, prognosi e terapia che competono 'in maniera esclusiva' al medico, tale precisazione è sparita dall’ultima versione, in cui si legge che al medico 'competono la diagnosi, la prognosi e la terapia in merito alla specifica situazione clinica'. Come se fosse necessario specificare che il medico si occupa di diagnosi, prognosi e terapia: cos’altro dovrebbe fare?" si chiede Guido Quici. "L’emendamento che ha modificato il testo, presentato dalla senatrice Elena Murelli, capogruppo della Lega in commissione Affari sociali, è stato anche accompagnato da un roboante comunicato stampa, con il quale si evidenziava la volontà di 'estendere l’atto medico a tutti i professionisti sanitari' " aggiunge Quici. "Lungi da noi non riconoscere le competenze e l’importanza dei professionisti sanitari, che ricoprono un ruolo essenziale per l’assistenza dei pazienti ed il corretto funzionamento del Servizio sanitario nazionale – specifica Quici -; ma se i percorsi formativi di medici e altri professionisti sanitari sono tanto diversi, è perché il ruolo e la responsabilità di ciascuno sono nettamente diversi, e non è possibile uniformarli per legge".
"Uniformare le professioni sanitarie verso la diagnosi e la terapia serve solo ad aumentare quell’anarchia che oggi vige in numerosi settori della sanità: non risolve senz’altro la carenza di personale, non consente di chiarire chi debba fare cosa e, soprattutto, mette a repentaglio la sicurezza delle cure".
"Inoltre, dal Ddl emerge con forza la volontà di non assumere personale: da una parte si sottolinea l’intenzione di “contrastare il fenomeno dei gettonisti”, dall’altra si propongono contratti di collaborazione coordinata e continuativa e si prevede la possibilità di avvalersi degli specialisti ambulatoriali per abbattere le liste d’attesa, pagandoli 100 euro l’ora. Nemmeno una parola relativa a concorsi a tempo indeterminato o assunzioni stabili, ovvero ciò che è realmente e giustamente atteso dai giovani e che consente di abbattere le liste d’attesa. Assunzioni, lo ricordiamo, che continuano ad essere ostacolate da un tetto alla spesa per il personale sanitario ultraventennale, la cui rimozione è stata più volte e da più parti promessa, ma mai effettuata".
"Così facendo si somma esclusivamente precarietà a precarietà, confusione a confusione. È questo il Servizio sanitario nazionale che vogliamo per il futuro?", conclude Quici.
La possibile marginalizzazione del ruolo medico, sostituito da una visione puramente prestazionale dell’intervento sanitario è un rischio evidenziato anche dalla Fnomceo, poiché la revisione proposta dal Ddl snatura l’essenza stessa dell’atto medico, riducendolo a esecuzione tecnica, senza riconoscere la componente decisionale, relazionale e di responsabilità clinica che lo caratterizza.
Il mondo medico chiede ora una correzione netta del testo alla Camera, affinché sia ripristinata una definizione chiara e rispettosa dei confini professionali. In gioco, avvertono, non c’è solo la tutela della professione medica, ma la sicurezza e la qualità dell’assistenza a cui hanno diritto tutti i cittadini.