EvdIl Fascicolo sanitario elettronico (Fse), ritenuto uno dei pilastri della sanità digitale italiana, continua a evidenziare limiti strutturali e disparità regionali che ne ostacolano l'efficacia. È quanto emerge dall’approfondita analisi della Fondazione Gimbe, presentata al 9° Forum Mediterraneo in Sanità.
Secondo i dati ufficiali aggiornati al 31 marzo 2025, solo quattro dei sedici documenti previsti dal decreto ministeriale del 7 settembre 2023 risultano disponibili in tutte le regioni: lettera di dimissione ospedaliera, referti di laboratorio e radiologia, e verbale di pronto soccorso. Documenti fondamentali come il profilo sanitario sintetico, il referto specialistico ambulatoriale o le prescrizioni farmaceutiche, pur essendo presenti in oltre l'80% delle regioni, non garantiscono un accesso uniforme. Solo il Veneto rende disponibile anche la cartella clinica, mentre documenti come la lettera di invito agli screening compaiono in appena 6 regioni.
In totale, il Fse mette a disposizione il 68% della documentazione prevista, ma nessuna regione ha raggiunto la copertura completa. I casi virtuosi – Piemonte e Veneto (93%) – si contrappongono a realtà fragili come Abruzzo e Calabria, ferme al 40%.
Consenso e utilizzo: il nodo della fiducia. Il tasso nazionale di consenso alla consultazione dei dati sanitari da parte dei medici si attesta solo al 42%. La forbice tra le regioni è impressionante: si va dal 92% dell’Emilia-Romagna all’1% di Abruzzo, Calabria e Campania. "Fornire il consenso è il primo passo per accedere ai benefici del Fse" – sottolinea Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe – "ma serve un grande sforzo informativo e culturale per rafforzare la fiducia dei cittadini".
Anche l’utilizzo attivo del Fse è limitato: tra gennaio e marzo 2025, solo il 21% dei cittadini ha consultato almeno un documento, considerando esclusivamente chi ne aveva uno caricato. Nel Mezzogiorno, la percentuale resta sotto l’11%. "Non basta caricare i dati nel fascicolo – prosegue Cartabellotta – bisogna anche mettere le persone nella condizione di usarli. E questo significa investire seriamente in alfabetizzazione digitale".
Servizi digitali: piattaforme incompiute. Il Fse regionale può offrire fino a 45 servizi digitali, ma solo Toscana (56%) e Lazio (51%) superano il 50% di attivazione. In Calabria, la disponibilità si ferma al 7%. Alcuni servizi sono fruibili tramite app o portali regionali alternativi, ma la mancata integrazione nel Fse compromette la visione unitaria della sanità digitale e restituisce una fotografia incompleta. "La sanità digitale non può frammentarsi in mille canali – osserva Cartabellotta – occorre una governance centralizzata e una piattaforma comune".
Il ruolo dei medici di medicina generale. I medici di medicina generale (Mmg) si confermano tra gli attori più coinvolti: tra gennaio e marzo 2025, il 95% ha effettuato almeno un accesso al Fse. Nove regioni toccano il 100%, dimostrando un impegno concreto nella digitalizzazione dei percorsi clinico-assistenziali. Questo elevato tasso di utilizzo da parte dei Mmg evidenzia quanto il Fse possa diventare uno strumento clinico essenziale, a patto che sia integrato e completo. Tuttavia, senza un sistema informativo condiviso, il loro lavoro rischia di essere limitato.
L’abilitazione dei medici specialisti rimane invece disomogenea: se dodici regioni raggiungono il 100%, altre come Liguria (16%) e Calabria (26%) sono fanalino di coda.
 Un patto nazionale per non lasciare indietro nessuno. "La sanità digitale non può essere un’innovazione per pochi" – conclude Cartabellotta – "Serve un patto nazionale che coinvolga Governo, regioni, cittadini e professionisti. Solo una sanità condivisa, accessibile e tecnologicamente integrata potrà garantire diritti e cure appropriate a tutti, indipendentemente dal luogo di residenza".
Per i Mmg, il Fse è già parte integrante della pratica quotidiana, ma servono strumenti affidabili, accessibili e realmente utili. Una tecnologia incompleta non può garantire continuità assistenziale. Il futuro della sanità passa anche da qui: una digitalizzazione equa, costruita attorno alle competenze di chi è in prima linea ogni giorno.