
Nel 2023, solo 13 Regioni hanno rispettato gli standard dei Livelli essenziali di assistenza, secondo i dati del Ministero della Salute. Otto Regioni registrano un peggioramento rispetto all’anno precedente, mentre il divario tra Nord e Sud si conferma profondo e strutturale. Ma la situazione sembrerebbe ancor più critica. La Fondazione Gimbe, che ha condotto un’analisi indipendente dei dati, lancia l’allarme: il sistema di valutazione ministeriale, basato su pochi indicatori e soglie troppo basse, non misura la reale qualità dell’assistenza e rischia di mascherare le disuguaglianze territoriali.
“Il monitoraggio Lea 2023 certifica ancora una volta che la tutela della salute dipende in larga misura dalla Regione di residenza”, afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione Gimbe. “La frattura tra Nord e Sud non accenna a ridursi. Anzi, è più ampia di quanto i numeri lascino intendere”. Secondo Cartabellotta, il set di indicatori utilizzato dal Ministero (26 su 88 del Nsg Core) è frutto di un compromesso politico tra Governo e Regioni, e non riflette in modo accurato la qualità dell’assistenza. “Si tratta più di uno strumento di political agreement, basato su pochi indicatori e soglie di promozione troppo basse, che tendono ad appiattire le differenze tra Regioni”.
Nel dettaglio, le Regioni adempienti sono: Campania, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Marche, Provincia Autonoma di Trento, Piemonte, Puglia, Sardegna, Toscana, Umbria e Veneto. Campania e Sardegna entrano tra le promosse, mentre Basilicata e Liguria retrocedono. Rimangono inadempienti per insufficienza in una sola area Calabria, Molise e Provincia Autonoma di Bolzano; Abruzzo, Sicilia e Valle d’Aosta non raggiungono la soglia in due aree.
La Fondazione Gimbe ha elaborato una classifica basata sulla somma dei punteggi ottenuti nelle tre macro-aree (prevenzione, assistenza distrettuale e ospedaliera), evidenziando un divario netto: tra le prime 10 Regioni, 6 sono del Nord, 3 del Centro e solo 1 del Sud. Nelle ultime 7 posizioni, fatta eccezione per la Valle d’Aosta, si trovano esclusivamente Regioni meridionali.
Otto Regioni hanno registrato un peggioramento rispetto all’anno precedente. In particolare, Basilicata (-19), Lombardia (-14), Sicilia (-11) e Lazio (-10) perdono più di 10 punti. “La riduzione delle performance anche in Regioni storicamente solide dimostra che la tenuta del Ssn non è più garantita nemmeno nei territori con maggiore disponibilità di risorse o reputazione sanitaria”, commenta Cartabellotta. Al contrario, Calabria (+41) e Sardegna (+26) mostrano miglioramenti significativi.
Squilibri interni e assistenza frammentata.
La classifica per macro-area mostra forti squilibri tra le Regioni. Alcune (Emilia-Romagna, Toscana, Veneto, Piemonte, Umbria) mantengono posizioni simili in tutte le aree, documentando una buona uniformità. Altre, come Calabria, Liguria, Bolzano e Valle d’Aosta, presentano forti disomogeneità. “Anche dove si raggiunge la soglia di sufficienza, persistono marcati squilibri nella qualità dell’assistenza. Ma una sanità che funziona bene solo in ospedale o solo sul territorio non può considerarsi realmente efficace”, sottolinea Cartabellotta.
La Fondazione Gimbe chiede un ampliamento del numero di indicatori utilizzati nella “pagella” ministeriale, una rotazione periodica degli stessi e una revisione radicale dei Piani di rientro e dei commissariamenti. “Strumenti che hanno indubbiamente contribuito a riequilibrare i bilanci regionali, ma che hanno inciso poco sulla qualità dell’assistenza e sulla riduzione dei divari tra Nord e Sud del Paese”.
Implicazioni per la medicina territoriale.
Per i medici di famiglia, il quadro delineato impone una riflessione profonda. In molte Regioni, l’assistenza distrettuale risulta la più penalizzata, con ricadute dirette sulla medicina di prossimità. In un contesto di crescente disomogeneità, il ruolo del medico di famiglia diventa cruciale per garantire equità, continuità e accessibilità alle cure.