EvdCon la promessa di "diffondere la ricerca innovativa per una cura ottimale del cancro", come recita lo slogan di quest'anno, il Congresso Esmo 2023 si è svolto a Madrid dal 20 al 24 ottobre 2023 con una componente virtuale per consentire a quante più persone possibile di partecipare. Da una conferenza programmatica che ha individuato le caratteristiche del cancro nell'anno in corso, attraverso il maggiore impegno verso un maggiore contributo accademico nel processo di sviluppo di farmaci per una migliore cura del cancro, e poi ancora più giù fino agli scenari drammatici portati dalle troppe situazioni di crisi nel mondo che hanno un impatto insopportabile sui pazienti affetti da cancro e sulle cure che vengono loro offerte: il programma del Congresso Esmo 2023 è stato salutato come “il più grande incontro di oncologia”, il “miglior Esmo di sempre” sui social media da entusiasti partecipanti registrati e brillanti scienziati. Diamo qui di seguito una sintetica panoramica di alcuni dei numerosissimi contenuti presentati durante le giornate congressuali.

Per le molecole di Amgen importanti evidenze in alcuni dei tumori più difficili da trattare
Nel tumore del colon-retto metastatico con mutazione KRAS G12C, la combinazione di sotorasib (960mg) e panitumumab raddoppia la sopravvivenza libera da progressione di malattia.
Nel tumore del polmone a piccole cellule in stadio avanzato tarlatamab mostra un tasso di risposta obiettiva (ORR) nel 40% dei pazienti e una sopravvivenza mediana complessiva (mOS) di 14.3 mesi.
Nel tumore al polmone non a piccole cellule avanzato l'esperienza italiana in pratica clinica conferma i dati di sotorasib degli studi registrativi.

Nuove prospettive per il tumore del colon-retto metastatico con mutazione KRASG12C
Le mutazioni KRAS sono tra le più comuni alterazioni genetiche nel tumore del colon-retto, tra queste KRAS G12C si presenta approssimativamente nel 3-5% dei casi. Per i pazienti con il tumore del colon-retto metastatico (mCRC) con recidiva dopo chemioterapia, nuove evidenze arrivano da Code Break 300, studio globale di fase 3, a cui ha partecipato anche l’Italia con 22 centri e un totale di 59 pazienti. Lo studio, appena pubblicato sul New England Journal of Medicine, ha valutato due dosaggi di sotorasib (960 mg o 240 mg) in combinazione con panitumumab. Nei pazienti con tumore del colon retto e mutazione KRAS G12C, refrattario alla chemioterapia, la combinazione con entrambe le dosi di sotorasib ha dimostrato una superiorità statisticamente significativa nella sopravvivenza libera da progressione di malattia (PFS) rispetto alla terapia standard. (PFS mediana sotorasib 960mg e panitumumab = 5.6mesi; PFS mediana sotorasib 240mg e panitumumab = 3.9 mesi; PFS mediana terapia di confronto = 2,2mesi).
Tra gli endpoint secondari, il tasso di risposta (Overall response rate ORR) ottenuto con la combinazione di sotorasib più panitumumab è risultato più elevato rispetto alla terapia standard (sotorasib 960mg: 26%; sotorasib 240mg: 6%; terapia standard scelta dallo sperimentatore: 0%).
"Con questi nuovi dati, sotorasib più panitumumab mostrano un'efficacia consistente nei diversi sottogruppi ad entrambi i dosaggi e supportano il razionale biologico della combinazione di queste due terapie mirate ai rispettivi target molecolari", commenta il dottor Filippo Pietrantonio, Unità di Oncologia Medica Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. "è importante sottolineare che meno del 20% dei pazienti con diagnosi del tumore del colon-retto metastatico sopravvive oltre i cinque anni; è quindi necessario di individuare nuove opzioni di trattamento, soprattutto per i pazienti che presentano la mutazioni KRAS G12C, per i quali non sono ancora disponibili terapie target evidence-based".

Tumore del polmone a piccole cellule (SCLC) in stadio avanzato: nuovi traguardi con l’impiego del primo BiTE® ad emivita estesa nei tumori solidi
Lo studio globale di fase 2 DeLLphi-301 appena pubblicato sul New England Journal of Medicine, ha valutato l’impiego di tarlatamab nei pazienti con tumore del polmone a piccole cellule (SCLC) in stadio avanzato che hanno fallito una o più precedenti linee di trattamento. Tarlatamab è una molecola bispecifica ad emivita estesa (HLE BiTE®), prima nella classe, che ha come bersaglio la proteina Delta-like 3 ligand (DLL3), presente in oltre l’85% dei casi di SCLC.
Con un follow up mediano di 10.6 mesi l’analisi dei dati che ha incluso 100 pazienti trattati con 10mg di tarlatamab, ha evidenziato un tasso di risposta (ORR, endpoint primario) del 40%: un risultato molto importante se si considera che, nello studio di fase 1 DeLLphi 300, il tasso di risposta è stato del 23% (NCT03319940).
Rispetto agli endpoint secondari, la sopravvivenza mediana libera da progressione (mPFS) è stata di 4.9 mesi, mentre la mediana di sopravvivenza complessiva (mOS) è stata di 14.3 mesi.
“Questo studio di fase 2 ha dimostrato risultati mai visti in precedenza - afferma Marcello Tiseo Direttore dell’UOC di Oncologia Medica dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma e Professore Associato di Oncologia Medica dell’Università di Parma. - L’elemento di novità è il meccanismo d’azione di tarlatamab, perché è la prima molecola di una categoria di anticorpi bispecifici, impiegata per il trattamento dei tumori solidi. Lo studio ha arruolato 220 pazienti, un numero rilevante. Sono tutti pazienti che avevano ricevuto la terapia standard con platino e almeno un’altra linea di terapia. Un setting estremamente sfavorevole e sfidante con l’urgenza di individuare nuove opportunità terapeutiche. I risultati ottenuti nel 40% dei pazienti, con una mediana di sopravvivenza intorno ai 14 mesi, rappresentano un grande beneficio in un contesto di terza linea di trattamento.”
Amgen sta attualmente valutando l’efficacia clinica di tarlatamab in diversi studi. Uno studio di fase 3 DeLLphi-304 confronta tarlatamab con la chemioterapia standard nel trattamento di seconda linea dello SCLC. Inoltre, stanno per essere avviati altri due studi di fase 3 per pazienti con SCLC in diversi stadi di avanzamento di malattia e in un setting di trattamento più precoce.
Tumore del polmone NSCLC in stadio avanzato con mutazione KRAS G12C: sotorasib conferma nella pratica clinica i dati degli studi registrativi
I risultati, ottenuti su un campione di 196 pazienti trattati in 30 centri sul territorio nazionale, confermano l’efficacia e la tollerabilità della terapia orale con sotorasib già noti dagli studi registrativi. Complessivamente, il tasso di risposta (ORR) è stato del 26%, il tasso di controllo della malattia (DCR)del 57%, la mediana della sopravvivenza libera da progressione (PFS) è stata di 5.8 mesi.
“L’ampia esperienza clinica maturata in Italia negli ultimi anni nei diversi programmi di accesso allargato – che hanno consentito il trattamento di oltre 600 pazienti sul territorio nazionale - trova oggi riscontro in questi primi dati di real world evidence che confermano l’efficacia e la sicurezza della terapia orale con sotorasib nel NSCLC con mutazione KRAS G12C pretrattato, setting nel quale la chemioterapia rappresenta ad oggi l’unica opzione terapeutica disponibile, seppur con performance subottimali”. Conclude la professoressa Silvia Novello, Direttore Unità Oncologia Toracica, San Luigi di Orbassano (TO), prof Ordinario di Oncologia Medica presso l’Università di Torino e Pres. Associazione WALCE – Women against lung cancer in Europe.

Melanoma uveale metastatico: presentati i dati dello studio di Fase 3 KIMMTRAK
Immunocore Holdings plc (Nasdaq: IMCR), azienda biotecnologica in fase di sviluppo commerciale, pioniera nello sviluppo di una nuova classe di immunoterapie bispecifiche a base di recettori delle cellule T (TCR) per il trattamento di diverse patologie, tra cui cancro, malattie infettive e malattie autoimmuni, annuncia oggi che i dati di sopravvivenza globale (OS) a tre anni dello studio di Fase 3 KIMMTRAK (tebentafusp-tebn) in pazienti HLA-A*02:01 positivi con melanoma uveale metastatico (mUM) precedentemente non trattati, sono stati pubblicati sul New England Journal of Medicine e sono stati presentati in occasione del Congresso della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO) 2023 come late-breaking abstract all’interno di una mini sessione orale.
"Supportato da un follow-up di sopravvivenza di tre anni, KIMMTRAK rimane lo standard di cura di prima linea per i pazienti HLA-A*02:01 positivi con melanoma uveale metastatico", ha dichiarato Mohammed Dar, Chief Medical Officer di Immunocore. "Il beneficio in termini di sopravvivenza si apprezza precocemente, entro le prime sei settimane, e la curva di sopravvivenza rimane separata dal braccio di controllo; questo beneficio in termini di sopravvivenza a lungo termine è un tratto distintivo dell'immunoterapia contro il cancro".
Nel follow-up dello studio di Fase 3 - il più lungo di tutti gli studi randomizzati sul melanoma uveale metastatico - il tasso di OS a tre anni è stato del 27% nel braccio KIMMTRAK, rispetto al 18% nel braccio di controllo (scelta dello sperimentatore, prevalentemente (82%) pembrolizumab a singolo agente). La OS mediana è stata di 21,6 mesi con KIMMTRAK, rispetto a 16,9 mesi con la scelta dello sperimentatore. L'Hazard Ratio (HR) di OS ha favorito KIMMTRAK, HR=0.68, rispetto alla scelta dello sperimentatore.
Il tasso di risposta globale è rimasto a favore di KIMMTRAK rispetto al braccio di controllo (11% vs 5%) e la durata mediana della risposta per i pazienti trattati con KIMMTRAK è stata di 11.1 mesi. Anche il tasso di controllo della malattia (risposta completa, risposta parziale o malattia stabile per ≥12 settimane) è stato superiore nel braccio KIMMTRAK (46% vs 27%) rispetto al braccio di controllo. Oltre la metà (57%; n=139) di tutti i pazienti trattati con KIMMTRAK è stata trattata oltre la progressione radiografica iniziale. Lo studio ha valutato la clearance del DNA tumorale circolante (ctDNA) come predittore di sopravvivenza globale. La clearance del ctDNA con KIMMTRAK si è verificata nel 37% dei pazienti valutabili (rispetto al 13% precedentemente riportato nei pazienti di seconda linea) ed è stata associata a una maggiore OS.

Amivantamab: nuovi standard di trattamento per il tumore del polmone non a piccole cellule con mutazione dell’EGFR
Sono stati presenti i risultati di tre importanti studi clinici di fase 3 su amivantamab, anticorpo bispecifico completamente umano, first-in-class, per il riconoscimento dei recettori mutati del fattore di crescita dell’epidermide (EGFR) e della transizione mesenchima-epidermide (MET). Il farmaco attualmente è già disponibile in Italia per il trattamento in monoterapia di adulti con tumore del polmone non a piccole cellule (NSCLC) avanzato, con mutazioni da inserzione dell'esone 20 attivanti del fattore di crescita dell’epidermide (EGFR), dopo il fallimento della chemioterapia a base di platino.
Lo studio Mariposa è uno studio di fase 3 che valuta il trattamento in prima linea della combinazione amivantamab e lazertinib rispetto alla terapia standard osimertinib e lazertinib in monoterapia in pazienti con tumore NSCLC con mutazioni comuni dell’EGFR, ovvero delezione dell'esone 19 (ex19del) o la mutazione L858R, in stadio localmente avanzato o metastatico.
Nello specifico, la combinazione ha mostrato una riduzione del 30% della progressione di malattia o morte, con una tendenza favorevole anche per quanto riguarda la sopravvivenza complessiva (OS). A un follow-up mediano di 22 mesi, la sopravvivenza libera da malattia mediana (PFS) per la terapia di combinazione è stata di 23.7 mesi rispetto ai 16.6 della terapia con osimertinib. I valori di PFS, che considerano solo la progressione extracranica, sono stati di 27.5 mesi per la combinazione amivantamab più lazertinib rispetto ai 18.5 mesi per osimertinib. Inoltre, la durata della risposta (DOR) è stata significativamente più lunga nel caso di amivantamab più lazertinib, con un miglioramento nella DOR mediana di 9 mesi.
Lo studio Mariposa-2 è uno studio di fase 3 che valuta l’efficacia e sicurezza di due regimi terapeutici a base di amivantamab, in combinazione con lazertinib o in monoterapia, associati a chemioterapia in pazienti con NSCLC con mutazioni comuni dell’EGFR in stadio localmente avanzato o metastatico, che abbiano avuto una progressione della malattia dopo o nel corso del trattamento con osimertinib. I dati presentati hanno mostrato che l’aggiunta di amivantamab riduce il rischio di progressione della malattia o di morte del 52% rispetto alla sola chemioterapia. Nel caso della combinazione di amivantamab con lazertinib questa riduzione è stata superiore e pari al 56%. Inoltre, il trattamento con amivantamab e chemioterapia ha mostrato tassi di risposta globali (ORR) del 64%, del 63% in caso di combinazione con lazertinib, rispetto a un ORR del 36% per la chemioterapia. Inoltre, lo studio ha valutato per la prima volta l’effetto della combinazione con amivantamab a livello intracranico. Il rischio di progressione della malattia a livello cerebrale o morte è risultato ridotto in caso di combinazione della chemioterapia con amivantamab o con amivantamab più lazertinib rispetto al trattamento con la sola chemioterapia, rispettivamente del 45 e del 42%.
Lo studio Papillon è uno studio di fase 3 che valuta l’efficacia e sicurezza del trattamento in prima linea con amivantamab in combinazione con chemioterapia a base di carboplatino-pemetrexed in pazienti con NSCLC con mutazioni da inserzione dell'esone 20 attivanti dell’EGFR in stadio localmente avanzato o metastatico. In particolare, si è osservata una riduzione del 60% del rischio di progressione della malattia o di morte con il trattamento in prima linea di amivantamab associato a chemioterapia in pazienti con forma rara di tumore del polmone non a piccole cellule con mutazione dell’EGFR. A un follow-up di 14.9 mesi, si è osservata una PFS superiore per la terapia di combinazione rispetto alla sola chemioterapia, con valori pari a 11.4 e 6.7 mesi rispettivamente. A 18 mesi, il 31% dei pazienti trattati con amivantamab in combinazione con chemioterapia è risultata viva e senza progressione della malattia, rispetto al 3% nel gruppo trattato solo con chemioterapia. La combinazione ha portato a una ORR del 73% rispetto al 47% in caso della sola chemioterapia. Inoltre, un’analisi ad interim della sopravvivenza complessiva (OS) ha mostrato una tendenza favorevole della combinazione rispetto alla sola chemioterapia, con il 72 e il 54% dei pazienti vivi a due anni rispettivamente.