EvdLe statine sono tra i farmaci più studiati e i dati confermano la loro elevata efficacia nel ridurre il rischio di infarto miocardico, ictus ischemico, ospedalizzazione per angina instabile, mortalità cardiovascolare e mortalità per tutte le cause. Nonostante queste evidenze, circa il 50% dei pazienti interrompe l'assunzione della statina dopo 6 mesi e solo il 20% dei pazienti ad alto rischio continua la terapia dopo 5 anni. Di recente è stato pubblicato un editoriale sul Journal of the American College of Cardiology dove, tra le altre cose, l’autore scrive che "la questione dell'intolleranza alle statine merita ulteriori approfondimenti, perché mina lo standard di cura per un numero molto elevato di pazienti in tutto il mondo e li lascia vulnerabili agli eventi correlati alle patologie cardiovascolari. I dolori e le sofferenze sono un dato di fatto della vita; solo perché un paziente ne soffre non significa che debbano essere attribuiti alla statina”.
Per i pazienti che non possono o non vogliono assumere una statina per ridurre il rischio cardiovascolare, i medici devono trovare un piano alternativo altrettanto efficace nel mantenere nei range desiderati i valori lipidici. Se una persona ritiene che i dolori siano legati alla statina, sarà difficile che prosegua la terapia con statine e i medici devono lavorare a stretto contatto con i pazienti per educarli sull’importanza di ridurre i valori di colesterolo. Sono disponibili numerosissime prove molto valide del fatto che abbassare i livelli più a lungo è meglio quando si tratta di C-Ldl in funzione della riduzione del rischio di eventi. Quindi, è una questione di lavorare in squadra per dire che “se c’è un effetto collaterale, ci sono delle opzioni”.
Trovare un regime accettabile per il paziente può avvenire seguendo strategie diverse. Molte sono le statine disponibili e uno shift da una molecola a un’altra potrebbe aggirare l’ostacolo degli effetti collaterali o delle interazioni farmacologiche; è anche possibile valutare il dosaggio intermittente o il dosaggio molto basso (meglio una dose più bassa che nessuna dose). O ancora l’utilizzo di regimi alternativi come il dosaggio a giorni alterni o la proposta di associare una molecola di una differente classe farmacologica.
Una strategia che può funzionare molto bene per me è quella che prevede una dose bassa di statina (per esempio 5 mg di rosuvastatina) cui associare ezetimibe: così facendo si ottiene una riduzione di C-Ldl equivalente a quella determinata da una posologia di 40 mg di rosuvastatina.
Il medico deve considerare il livello di rischio del suo paziente al momento di decidere un regime di riduzione del C-Ldl. In caso di rischio molto elevato è indubbio che ci si debba orientare verso terapie efficaci e aggressive mentre nella prevenzione primaria ci si può concedere un po’ più di tempo, cambiando la statina o proponendo un dosaggio intermittente (per esempio rosuvastatina 5 mg tre volte a settimana). Inoltre prendere atto dei sintomi riferiti da un paziente può anche contribuire notevolmente a creare fiducia e portare ad accettare il cambio di molecola o di posologia. Per il paziente i sintomi sono reali ma talvolta ha la sensazione di essere stato respinto da altri medici mentre ciò che cerca e che desidera sentire è una convalida dei suoi sintomi. Una terapia diversa dalle statine può essere necessaria per i pazienti che non riescono a raggiungere gli obiettivi terapeutici con lo stile di vita e la statina alla dose massima tollerata.
Nello studio CLEAR Outcomes, l’acido bempedoico, che ha abbassato significativamente il C-Ldl rispetto al placebo, ha ridotto il rischio di eventi cardiovascolari avversi maggiori (morte CV, IM non fatale, ictus non fatale e rivascolarizzazione coronarica) del 13% rispetto al placebo, compreso un rischio inferiore del 23% per IM, tra gli adulti con una storia di CVD o ad alto rischio e ritenuti intolleranti alle statine. L'acido bempedoico produce una moderata riduzione del C-Ldl, ma è dimostrato che riduce gli eventi CV. Anche gli inibitori del PCSK9 sono molto efficaci e ben tollerati e tendono a non indurre eventi avversi di tipo statinico.
Un’alternativa potrebbe essere inclisiran, un inibitore del PCSK9, i cui dati a lungo termine provenienti dallo studio ORION-3 hanno dimostrato che, negli adulti con malattia cardiovascolare aterosclerotica o un rischio equivalente, le somministrazioni di inclisiran due volte all'anno sono state associate a una riduzione del 44% del C-Ldl sostenuta per 4 anni, senza che siano emersi problemi di sicurezza. Si tratta di un approccio davvero interessante e che potrebbe acquisire ulteriore popolarità nei prossimi anni.
I medici concordano sul fatto che il messaggio generale è mantenere i livelli di C-Ldl non solo il più bassi possibile ma anche il più precocemente possibile. Anche se raggiungere l’obiettivo può diventare complesso, magari perché la ricerca per trovare il regime ideale richiede tempo oppure perché il paziente non accetta il regime prescritto. Per questi pazienti i medici devono trovare un attento equilibrio, tra un regime terapeutico efficace, ma senza aspettare troppo a lungo per ridurre il C-Ldl in modo significativo. Questo approccio potrebbe significare un follow-up più intenso per alcuni pazienti, provando più statine o terapie alternative e soprattutto evitando perdite di tempo. Il tempo è infatti un fattore cruciale, soprattutto di fronte a pazienti con rischio elevato o molto elevato che non si possono permettere un trattamento inadeguato (o peggio ancora nessun trattamento) per mesi quando l’obiettivo da non dimenticare è quello di ridurre i parametri i più rapidamente possibile e mantenerli tali il più a lungo possibile.

Bibliografia
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