Cancro mammario, l’omega-3 potenzia la risposta antinfiammatoria
Alla ricerca di strategie complementari
Con oltre 2,3 milioni di nuovi casi nel mondo e circa 55mila ogni anno in Italia, il carcinoma mammario resta la neoplasia più diagnosticata tra le donne. Nonostante i progressi terapeutici, la necessità di strategie complementari che migliorino la risposta alle cure e la qualità della vita delle pazienti è sempre più riconosciuta anche a livello internazionale. Lo studio, coordinato dal professor Maurizio Muscaritoli, presidente della Società Italiana di Nutrizione Clinica, ha valutato gli effetti di un integratore contenente il 10% di DHA in forma liquida, somministrato per dieci giorni a donne con tumore al seno. “Il Dha– spiega Muscaritoli – è un precursore delle resolvine D1 e D2, molecole che non sopprimono l’infiammazione in modo indiscriminato come i farmaci, ma ne favoriscono la risoluzione fisiologica, ripristinando l’equilibrio tissutale”.
La medicina di precisione
I dati emersi sono particolarmente rilevanti nelle donne portatrici delle mutazioni BRCA1 o BRCA2. In queste pazienti si è registrato un aumento del 185% della resolvina D1 e del 101% della resolvina D2 rispetto ai valori basali. Per contro, le pazienti con familiarità oncologica ma prive di mutazione non hanno mostrato lo stesso incremento. “Il nostro studio suggerisce che la risposta antinfiammatoria indotta dal Dha potrebbe essere modulata dal profilo genetico della paziente – commenta il professor Alessio Molfino, prima firma della ricerca –. Un’evidenza che rafforza il ruolo della nutrizione come parte integrante della medicina di precisione”. L’integrazione è stata effettuata con uno sciroppo al gusto fragola contenente Dha derivato da microalghe della specie Schizochytrium sp., una fonte sostenibile che evita il ricorso all’olio di pesce e garantisce alta purezza.
Il ruolo delle resolvine nei tumori
A differenza degli antinfiammatori tradizionali, le resolvine – definite mediatori pro-risoluzione (SPMs) – non bloccano semplicemente l’infiammazione, ma regolano in modo selettivo i processi che ne derivano. Nel contesto oncologico, dove l’infiammazione cronica è riconosciuta come uno dei fattori che favoriscono la progressione tumorale, il controllo modulato di questi meccanismi può rappresentare un vantaggio terapeutico. Le pazienti coinvolte sono state sottoposte a misurazione dei livelli plasmatici di resolvina D1 e D2 prima e dopo il trattamento. Nei soggetti con mutazione BRCA, i livelli medi di resolvina D1 sono passati da 7,3 a 21,3 pg/mL. La resolvina D2 ha mostrato un incremento meno marcato nel gruppo totale, ma significativo nelle portatrici di mutazione genetica.
Prospettive future: integrazione nutrizionale su base genomica
Sebbene i risultati debbano essere confermati da studi su larga scala, la ricerca apre la strada all’integrazione di protocolli nutrizionali mirati nella pratica oncologica. “Il nostro obiettivo – conclude Muscaritoli – è individuare strategie di supporto personalizzate che, affiancandosi alle terapie oncologiche, agiscano a livello molecolare per contrastare l’infiammazione cronica, migliorare la prognosi e contribuire alla qualità di vita delle pazienti”.