EvdLe evidenze accumulate da studi osservazionali hanno da tempo suggerito una correlazione tra bassi livelli plasmatici di potassio e aumento significativo del rischio di queste alterazioni del ritmo cardiaco. Per decenni, i medici hanno gestito le alterazioni elettrolitiche, ma ora una nuova ricerca getta luce su una strategia proattiva e potenzialmente trasformativa, ricondisderando il ruolo del potassio, non solo come un parametro da correggere in caso di ipokaliemia, ma come un target terapeutico attivo.

Potcast: lo studio che svela il ruolo del potassio "alto-normale"
Per comprendere meglio questa relazione e tradurla in una pratica clinica concreta, è stato condotto lo studio Potcast, un trial clinico randomizzato e controllato, i cui risultati sono stati recentemente presentati al Congresso Esc 2025 e pubblicati sul New England Journal of Medicine. Il razionale dello studio, spiegato dal Dott. Christian Jons del Rigshospitalet di Copenhagen, era chiaro: valutare se aumentare i livelli di potassio a un intervallo medio-alto del range di normalità potesse migliorare gli esiti nei pazienti ad alto rischio di aritmie ventricolari. I partecipanti idonei (1.200 in totale, età media 62,7 anni, 19,8% donne) erano pazienti con defibrillatore cardioverter impiantabile (Icd) o in terapia di resincronizzazione cardiaca, con un potassio plasmatico basale ?4,3 mmol/L. Sono stati esclusi pazienti con insufficienza renale grave (eGfr <30 ml/min) e donne in gravidanza.
Lo studio ha randomizzato i partecipanti in due gruppi:
• un gruppo di intervento con l'obiettivo di elevare il potassio plasmatico a 4,5-5,0 mmol/L attraverso consigli dietetici, integratori di potassio e/o antagonisti del recettore dei mineralcorticoidi (Mra);
• un gruppo di controllo che ha ricevuto le cure standard.
Dopo un follow-up mediano di 39,6 mesi, i livelli plasmatici di potassio nel gruppo di intervento hanno raggiunto una media di 4,36 mmol/L dopo 6 mesi (partendo da un basale di 4,01 mmol/L), rispetto ai 4,05 mmol/L del gruppo di controllo. Nonostante il target di 4.5-5.0 mmol/L non sia stato completamente raggiunto in media, anche questo modesto aumento di circa 0,3 mmol/L ha prodotto un impatto clinicamente significativo.
L'endpoint primario, un composito di tachicardia ventricolare sostenuta, qualsiasi terapia Icd appropriata, ospedalizzazione non pianificata per aritmia o insufficienza cardiaca e mortalità per tutte le cause, è risultato significativamente più basso nel gruppo con potassio "alto-normale" (22,7%) rispetto al gruppo di controllo (29,2%), con un hazard ratio (HR) di 0,76 (IC 95% da 0,61 a 0,95; p=0,015). Questo effetto protettivo è stato consistente in tutti i sottogruppi prespecificati, inclusi pazienti con cardiopatia ischemica e insufficienza cardiaca.

Ridotti interventi Icd e ricoveri
Analizzando le singole componenti dell'endpoint primario, la differenza più marcata è stata osservata nelle terapie Icd appropriate (shock o stimolazione antitachicardia), verificatesi nel 15,3% dei partecipanti del gruppo di intervento rispetto al 20,3% del gruppo di controllo (HR 0,75). Anche i ricoveri non pianificati per aritmie cardiache sono diminuiti (6,7% vs 10,7%; HR 0,63), così come quelli per insufficienza cardiaca (3,5% vs 5,5%; HR 0,62). Sebbene la mortalità per tutte le cause non abbia mostrato una differenza statisticamente significativa da sola (5,7% vs 6,8%; HR 0,85), la tendenza era comunque favorevole.

Sicurezza e nuove prospettive: il potassio come "farmaco"
Sul fronte della sicurezza, non ci sono stati problemi significativi: l'ospedalizzazione per iperkaliemia o ipokaliemia grave si è verificata solo nell'1% dei partecipanti in entrambi i gruppi, indicando che la strategia di targeting dei livelli di potassio è risultata sicura. Questi risultati sono di fondamentale importanza, come sottolineato dal Professor Henning Bundgaard, autore senior dello studio: "Un aumento indotto dal trattamento del livello plasmatico di potassio di circa 0,3 mmol/L ha ridotto significativamente il carico di aritmia senza aumentare il rischio combinato di iper- o ipokaliemia". Il Professor Bundgaard ha anche avanzato un'ipotesi affascinante: i miglioramenti osservati con gli Mra in diversi studi sull'insufficienza cardiaca (come Rales, Ephesus e Emphasis-Hf) potrebbero essere stati, almeno in parte, mediati dall'aumento dei livelli di potassio, anziché quest'ultimo essere solo un effetto collaterale.

Il ruolo del medico di famiglia: gestire il potassio per prevenire eventi
Lo studio Potcast offre al Mmg una prospettiva nuova e potente. Mirare a mantenere i livelli di potassio nel range medio-alto della normalità (4,5-5,0 mmol/L) si configura come una strategia di trattamento economica, ampiamente disponibile e sicura per i pazienti con malattie cardiovascolari ad alto rischio di aritmia ventricolare. Che sia attraverso la dieta, l'integrazione o l'uso di Mra (nel rispetto delle indicazioni e controindicazioni), il potassio emerge come un fattore chiave nella prevenzione degli eventi avversi. Monitorare attentamente i livelli di potassio e intervenire proattivamente per mantenerli in questo intervallo ottimale può significare una riduzione concreta del rischio di aritmie gravi, ricoveri per scompenso cardiaco e forse anche della mortalità, migliorando la qualità di vita e la prognosi dei nostri pazienti.

Bibliografia
Jøns C, et al. Increasing the Potassium Level in Patients at High Risk for Ventricular Arrhythmias. N Engl J Med 2025. DOI: 10.1056/NEJMoa2509542