Vivere con una diagnosi di malattia rara rappresenta un vero e proprio percorso ad ostacoli. Ma, quando si è donna, le difficoltà aumentano esponenzialmente, sia quando si è malate sia da caregiver. Secondo una prima indagine realizzata da EngageMinds Hub dell’Università Cattolica di Milano, guidato dalla Prof.ssa Guendalina Graffigna, percezione della propria immagine, gestione della malattia, accesso alle cure, fertilità, appartenenza a minoranze culturali e conciliazione del ruolo di lavoratrice con quello di caregiver rappresentano le aree di maggiore difficoltà nella gestione delle patologie rare. Per affrontare queste sfide, far luce a 360 gradi sull’impatto (sociale, clinico, economico, psicologico) di queste malattie nella popolazione femminile e ridurre le disuguaglianze di genere nasce “Women in rare”, il progetto di Alexion dedicato alla centralità della donna nell’universo delle malattie rare. Un percorso mirato a esplorare l’impatto di questa specifica condizione sulle diverse sfere della vita delle donne, che si articolerà attraverso l’organizzazione di eventi istituzionali di sensibilizzazione, una campagna social per aumentare la consapevolezza sulle malattie rare e la stesura di un “libro bianco”, in collaborazione con EngageMinds Hub, UNIAMO, Fondazione Onda, Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere, ALTEMS e il comitato scientifico del progetto “Women in Rare”, in cui verranno evidenziati i principali bisogni insoddisfatti sia dalla prospettiva del paziente sia del caregiver.
“La presenza di una malattia rara ha un forte impatto sia sulla vita di chi ne è affetto sia su quella dei caregiver. Diversi studi sottolineano però che è maggiore nelle donne, che spesso devono affrontare sfide uniche e specifiche legate alla loro condizione di salute”, spiega Guendalina Graffigna, Professore Ordinario di Psicologia dei Consumi e della Salute all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza e Direttore del Centro di Ricerca EngageMinds HUB – Consumer, Food & Health Engagement Research Center.
“Per le donne che soffrono di patologie rare, ad esempio, l’immagine corporea può diventare una fonte di preoccupazione e di depressione a causa degli effetti fisici che le loro condizioni possono determinare. Non solo, la scarsa sensibilizzazione sulle malattie rare e la mancanza di conoscenza possono portare le donne a sperimentare lo stigma sociale e a sentirsi giudicate e discriminate. Le patologie rare presentano inoltre un impatto significativo sulla gestione della vita quotidiana delle donne che ne sono affette. Il non sapere quando e quali sintomi si presenteranno non permette di organizzare la giornata, fare progetti e, più in generale, gestire gli impegni quotidiani e familiari. Un ulteriore aspetto riguarda la fertilità: diverse analisi sottolineano difficoltà nell’elaborazione dei sentimenti legati all’infertilità associate a molte malattie rare. Questo può contribuire a vissuti di ansia, depressione e isolamento. Infine, un altro aspetto emerso dalla ricerca riguarda l’appartenenza ad una minoranza culturale. Questa caratteristica costituisce un’ulteriore complessità di cui tenere conto perché, oltre alle iniquità legate al genere, la gestione della patologia rara può essere compromessa da vulnerabilità legate a stereotipi culturali, barriere linguistiche e differenti concezioni della salute”, afferma la Prof.ssa Graffigna.
La centralità della donna come caregiver rappresenta un’importante sfida a livello istituzionale. “I percorsi di diagnosi, cura e sostegno per i malati e per i loro familiari dipendono in gran parte dalla Regione in cui si risiede. Ecco perché occorre più che mai un maggior raccordo sul territorio per cambiare la vita quotidiana delle persone con malattia rara attraverso una miglior assistenza socio-sanitaria e domiciliare. Cambiamento che per il ruolo della donna, sia come caregiver sia come lavoratrice, deve passare da interventi strutturali che garantiscano il diritto di scelta. Ciò significa facilitazioni per part time e smart working accompagnate da assistenza domiciliare che possa consentire anche una scelta lavorativa. Iniziative come ‘Women in Rare’, con il contributo delle associazioni che si occupano di malattie rare, vanno proprio in questa direzione”, commenta Annalisa Scopinaro, Presidente di UNIAMO (Federazione Italiana Malattie Rare).