
Metodologia e popolazione di riferimento
Lo studio ha adottato un disegno trasversale descrittivo, focalizzandosi su una popolazione con età mediana al basale di 66,4 anni, prevalentemente femminile (81,4%). Le categorie di Bmi sono state definite secondo i criteri standard, dove 18,5–25 kg/m² rappresenta il normopeso, 25–30 kg/m² il sovrappeso e ?30 kg/m² l'obesità. La popolazione di riferimento per il confronto del rischio di mortalità (aggiustato per sesso, comorbilità e livello di istruzione) è stata stabilita nella fascia superiore del normopeso (22,5–25,0 kg/m²).
I risultati hanno confermato l'elevato rischio di mortalità associato agli estremi dello spettro ponderale. Gli individui classificati come sottopeso (Bmi <18,5 kg/m²) presentavano un rischio di morte aumentato di 2,73 volte rispetto alla popolazione di riferimento. Analogamente, l'obesità grave (Bmi ?40 kg/m²) era correlata a un rischio aumentato di 2,1 volte. Tali dati rinforzano l'evidenza che sia il sottopeso che l'obesità costituiscono sfide sanitarie globali maggiori.
Tuttavia, l'analisi ha rivelato una dissociazione significativa nella relazione tra Bmi e mortalità nelle fasce intermedie. Gli individui nella categoria di sovrappeso (25–30 kg/m²) e quelli con obesità di grado I (30,0–35,0 kg/m²) non mostravano un aumento del rischio di mortalità rispetto al gruppo di riferimento. Questo fenomeno, definito talvolta come "fat but fit" o salute metabolicamente intatta, suggerisce che l'aumento ponderale in queste fasce non è universalmente sinonimo di prognosi avversa a breve termine. L'unica eccezione entro i 40 kg/m² era rappresentata dalla categoria 35–40 kg/m², associata a un rischio aumentato del 23%.
Un dato inatteso riguarda il normopeso stesso: anche gli individui posizionati nella fascia media (20,0–22,5 kg/m²) e inferiore (18,5–20,0 kg/m²) del normopeso mostravano un rischio di decesso superiore (rispettivamente 27% e due volte maggiore) rispetto al riferimento (22.5–25.0 kg/m²).
Implicazioni cliniche e meccanismi proposti
I ricercatori hanno ipotizzato che il rischio elevato nelle categorie di basso Bmi possa essere in parte attribuito alla causalità inversa. In questo scenario, una patologia sottostante non diagnosticata potrebbe indurre una perdita di peso, rendendo l'inferiore Bmi un marcatore di malattia piuttosto che la causa diretta della maggiore mortalità.
Questi risultati sottolineano che il Bmi, pur essendo una misura di rapporto peso-altezza, non fornisce un quadro esaustivo del rischio individuale. I fattori critici nella stratificazione del rischio risiedono nella distribuzione del grasso. Il grasso viscerale, accumulato profondamente nell'addome e altamente attivo a livello metabolico, è noto per secernere composti che influenzano negativamente la salute metabolica, favorendo patologie come il diabete di tipo 2 e le malattie cardiovascolari. Al contrario, l'adipe distribuito a livello periferico (fianchi, glutei) potrebbe non esercitare lo stesso impatto metabolico avverso.
Di conseguenza, la gestione clinica dell'obesità deve evolvere da un approccio univoco basato sul Bmi verso una personalizzazione del trattamento, che consideri specificamente la distribuzione adiposa del paziente e la presenza di comorbilità metaboliche.
Bibliografia
Gribsholt S, et al. The association between body mass index and mortality: a cohort study. Easd, Vienna 15-19 settembre 2025.