Il prediabete è associato ad un aumentato rischio di diabete, di eventi cardiovascolari e mortalità. La terapia di prima linea è la modifica dello stile di vita che include la perdita di peso e l'esercizio fisico o la metformina. La modifica dello stile di vita è associata a un beneficio maggiore rispetto alla metformina.
La perdita di peso negli anziani sani è associata a un aumentato rischio di mortalità per tutte le cause, sia nell’uomo che nella donna. La raccomandazione degli esperti è dunque quella di monitorare regolarmente le modificazioni del peso per una valutazione precoce dei rischi che questo comporta.
I minori in età adolescenziale e pre-adolescenziale sono i protagonisti. A lanciare l’allarme il Coordinamento dei Direttori dei Dipartimenti di Salute Mentale italiani, attraverso un documento inviato al Presidente della Repubblica e al Presidente del Consiglio. Che cosa sta succedendo ai giovani?
La multimorbilità cardiometabolica, in particolare nella mezza età, è associata ad un aumentato rischio di demenza. Il background genetico può sostenere questa associazione, in particolare nei gemelli dizigoti.
La presenza di almeno un componente della sindrome metabolica in un individuo con peso normale risulta associata a un rischio tre volte più elevato di diabete rispetto agli individui senza componenti della sindrome metabolica. Il rischio sale a 8 per due componenti e a 12 per tre componenti.
In un nuovo studio, che ha incluso pazienti ospedalizzati con danno renale acuto (AKI), è stato osservato che livelli più elevati di alcuni biomarcatori nelle urine e nel sangue possono predire un rischio del paziente di sviluppare una malattia renale cronica (CKD). I risultati potrebbero aiutare i medici a capire meglio se, dopo un evento renale acuto, l’emuntorio è avviato alla guarigione e se è potenzialmente possibile prevenire la progressione del danno renale acuto in nefropatia cronica.
Nonostante i progressi raggiunti nella diagnosi precoce e nel trattamento del carcinoma prostatico localizzato, la gestione della malattia rimane controversa. Se da un lato il ricorso alla risonanza magnetica e le biopsie multiparametriche (MRI) e mirate possono aiutare la diagnosi di malattia indolente, la difficoltà di una corretta stratificazione del rischio continua a tradursi in trattamenti eccessivi ma anche in sottotrattamenti. Uno studio ha messo a confronto trattamento aggressivo con sorveglianza attiva