Medici in Italia: tanti, ma lontani dal Ssn
Il punto critico è quanti di questi medici operano nel servizio pubblico. Secondo l’inchiesta di Milena Gabanelli pubblicata nella rubrica Dataroom su Corriere.it, al 31 dicembre 2024 risultano iscritti all’albo 415.868 medici. Ma, eliminando pensionati, professionisti che lavorano all’estero e chi è attivo solo nel privato, si arriva a 127.344 medici presenti nel Ssn, di cui 95.159 specialisti ospedalieri.
Il risultato è che appena 1,61 specialisti per 1.000 abitanti operano stabilmente nel servizio pubblico. Gli altri lavorano nel privato, spesso anche dentro strutture pubbliche, ma con tariffe a carico del paziente.
Il ruolo dei medici di famiglia: primo presidio, ma sempre più isolato. In questo scenario, i medici di medicina generale rappresentano per molti cittadini l’unico accesso concreto alle cure. Sono 37.860 in tutta Italia, ma le difficoltà aumentano: carichi burocratici crescenti, mancanza di personale di supporto, ospedali interlocutori sempre più svuotati. L’età media è alta e il ricambio generazionale è insufficiente.
Intanto la sanità pubblica si trasforma: chi può, sceglie il privato. Chi non può, aspetta. O rinuncia. Un modello che rischia di erodere il principio costituzionale dell’universalità delle cure.
Origini della crisi. Le radici affondano in scelte politiche stratificate:
1. Il blocco del turnover (2005–2019) ha impedito di sostituire il personale in uscita.
2. L’imbuto formativo, causato da numero chiuso e borse insufficienti, ha bloccato migliaia di neolaureati.
3. La distribuzione distorta delle specializzazioni continua: settori chiave per il Ssn restano scoperti, mentre quelli più remunerativi nel privato sono sovraffollati.
Nel 2025, per esempio, sono andati deserti quasi l’80% dei posti in Microbiologia, il 65% in Radioterapia e il 44% in Medicina d’urgenza. Proprio laddove la crisi del sistema è più evidente.
Ripartire dal valore del lavoro pubblico. Non basta formare nuovi medici: occorre rendere attrattivo il lavoro nel pubblico, soprattutto nelle aree e specialità più penalizzate.
Alcune azioni possibili:
1. Offrire retribuzioni più adeguate, con incentivi specifici per discipline meno praticabili nel privato.
2. Rivedere il numero delle borse, riducendo quelle per specializzazioni già sature e potenziando quelle in difficoltà.
3. Promuovere mobilità e stabilizzazione nei territori carenti.
4. Alleggerire il carico burocratico e garantire condizioni di lavoro sostenibili.
5. Costruire percorsi di carriera trasparenti e basati sul merito.
Le recenti Leggi di Bilancio prevedono un aumento medio di 438 euro lordi mensili e bonus specifici per chi opera nei Pronto Soccorso. Tuttavia, mentre le trattative per il rinnovo dei contratti dei medici dipendenti dal Ssn procedono a rilento, il processo è ancora più complesso per i medici di medicina generale, che operano in convenzione con il Servizio sanitario nazionale.
Non è una crisi di vocazione, ma di condizioni. La carenza di medici nella sanità pubblica non colpisce solo i reparti ospedalieri o le specialità in sofferenza: ricade anche, con forza crescente, su chi nel pubblico ha scelto di restare. Chi continua a lavorare nel Ssn si trova spesso a sopperire a una carenza strutturale, affrontando carichi di lavoro insostenibili, turni pesanti e una crescente pressione organizzativa.
Ma l’impatto più evidente si riversa anche sul territorio, dove i Mmg, già in prima linea nell’assistenza quotidiana, si trovano a gestire un flusso crescente di bisogni non intercettati dal secondo livello. Con ospedali sottodimensionati, specialisti introvabili e tempi di attesa dilatati, i medici di medicina generale sono costretti a farsi carico di un numero sempre maggiore di richieste che esulano dal loro ambito specifico, senza gli strumenti adeguati e spesso in solitudine.
In un sistema che perde pezzi, sono proprio coloro che restano ad assumersi il peso di ciò che manca. E per i medici di famiglia, questo significa dover garantire continuità di cura in un contesto che non riesce più a sostenerli.