“La salute è un bene comune solo se è garantita ovunque, non solo dove è più facile erogarla.” Con questa frase, Giovanni Migliore, presidente di Fiaso, ha aperto il suo intervento al Senato durante la presentazione del Manifesto sulla salute come bene comune.
Un messaggio che interroga la reale tenuta del Servizio sanitario nazionale (Ssn) nei territori più fragili — aree interne, comuni montani e isole minori — dove la medicina di prossimità rappresenta spesso l’unico presidio sanitario continuativo.
Migliore ha sottolineato la necessità di superare l’uniformità imposta dal Dm 77, il decreto che avrebbe dovuto ridisegnare la sanità territoriale: “Un modello unico non basta per un Paese così diverso. Innovazione e prossimità devono procedere insieme, con telemedicina, skill mix professionale e intelligenza artificiale per ridurre le distanze — non per crearne di nuove.”
Il medico di famiglia come presidio di equità. In questo scenario, il medico di medicina generale (Mmg) si conferma figura chiave: non solo primo punto di contatto, ma interprete del territorio, capace di adattare risposte e costruire alleanze professionali.
Nelle aree interne, il medico di famiglia è spesso l’unico volto del Ssn, l’elemento umano che mantiene viva la relazione di cura.
Andrea Lenzi, presidente del Comitato nazionale per la biosicurezza, ha ricordato che “i presidi di salute non possono essere abbandonati alla logica del numero o della densità”.
Floriana D’Ambrosio, dell’Osservatorio sulla salute bene comune, ha richiamato la necessità di “reti multiprofessionali dove il Mmg sia nodo attivo e riconosciuto”.
Leonardo Villani ha rilanciato la telemedicina come strumento prezioso, ma da accompagnare con formazione e infrastrutture adeguate, per evitare che le nuove tecnologie amplifichino il divario territoriale invece di colmarlo.
Il paradosso della Manovra: il territorio dimenticato. Mentre al Senato si rilancia la medicina di prossimità, la legge di Bilancio 2026 sembra muoversi in direzione opposta. Nessun finanziamento specifico per le reti locali, nessuna valorizzazione contrattuale per chi opera nei contesti più fragili.
Il Dm 77 resta, nei fatti, inattuato: Case di comunità ancora cantieri, équipe multiprofessionali ferme al palo e medici di famiglia spesso soli a presidiare territori vasti e complessi. Il rischio è che la sanità territoriale diventi un tema da convegno ma non da investimento e che i medici di prossimità, pur evocati come “sentinelle della salute”, restino soli a garantire un servizio pubblico che li riconosce troppo poco.
Segnali da non ignorare: Acn e Legge per la montagna
Qualche segnale positivo, però, comincia a emergere. È finalmente partito il tavolo per il rinnovo dell’Accordo collettivo nazionale (Acn) 2022–2024 per la medicina generale, cruciale per aggiornare ruoli, strumenti e condizioni di lavoro dei Mmg.
Anche la Legge per la montagna, entrata in vigore il 20 settembre 2025, rappresenta un primo riconoscimento normativo della specificità territoriale della medicina generale.
Il provvedimento, sostenuto dall’Uncem (Unione nazionale comuni comunità enti montani), introduce misure fiscali e contrattuali per incentivare la presenza dei medici di famiglia nei Comuni montani, dove la carenza di assistenza rischia di trasformarsi in emergenza strutturale.
Il Manifesto richiama principi fondamentali — equità, prossimità, multiprofessionalità — ma senza risorse dedicate e senza un reale impulso all’attuazione del Dm 77, rischia di restare sulla carta.
I medici di medicina generale, che ogni giorno tengono insieme il tessuto sanitario delle aree più fragili, meritano politiche coerenti e strumenti adeguati.
I segnali normativi ci sono, ma ora serve una strategia di sistema capace di trasformarli in azioni concrete.
Solo così la sanità di prossimità potrà diventare davvero la spina dorsale di un Ssn equo e sostenibile, capace di garantire salute anche dove è più difficile farlo.