L’ora legale, adottata in oltre settanta Paesi con l'intento primario di ridurre i consumi energetici e ottimizzare l'uso della luce naturale, è oggetto di un crescente dibattito sui suoi effetti diretti sulla salute, in particolare sul sonno e sulla vigilanza diurna.Una recente revisione sistematica, pubblicata sulla rivista Sleep Medicine Reviews, ha cercato di fare chiarezza su questo impatto, raccogliendo e valutando criticamente 27 studi condotti a livello internazionale. Il lavoro è stato guidato dal Centro di Medicina del Sonno dell’Irccs Neuromed di Pozzilli, in collaborazione con centri di ricerca italiani come l'Università di Pavia, la Fondazione Mondino, il Consiglio Nazionale delle Ricerche e l'Università di Genova I risultati tracciano un quadro preciso: il passaggio primaverile all’ora legale presenta conseguenze più nette e negative. I ricercatori hanno riscontrato una riduzione della durata del sonno, una maggiore frammentazione e un incremento della sonnolenza diurna. Tali effetti risultano particolarmente marcati negli individui identificati come "gufi", ovvero quelli con un cronotipo serale che tendono a coricarsi tardi. Al contrario, il ritorno all’ora solare in autunno sembra avere conseguenze più contenute e talvolta persino favorevoli, arrivando a causare un temporaneo aumento delle ore di sonno. Andrea Romigi, neurologo del Neuromed, sottolinea che questi effetti sul riposo, sebbene generalmente transitori, se ripetuti ogni anno, possono contribuire a un significativo disallineamento tra i ritmi biologici e quelli sociali. Comprendere tali meccanismi è essenziale per orientare politiche sanitarie e sociali che siano maggiormente rispettose della fisiologia del sonno.
Nonostante gli studi disponibili mostrino alcune limitazioni (come campioni ridotti e strumenti di rilevazione non sempre comparabili), la revisione fornisce una base solida per individuare tendenze comuni. Gli autori auspicano indagini future più ampie e standardizzate, eventualmente basate sulla polisonnografia, per chiarire meglio le conseguenze a lungo termine. Questo tipo di ricerca potrà offrire un supporto concreto a decisioni di politica pubblica che considerino la salute e il benessere delle persone, e non solo criteri economici o organizzativi.