Tumori epatici: è possibile prevedere quelli responsivi alla immunoterapia

Vincenzo Mazzaferro
Direttore SC di Chirurgia Epato-Gastro-Pancreatica
Istituto Nazionale dei Tumori di Milano (INT)
Professore di Chirurgia
Università di Milano (UniMi)
Due recenti studi sono stati in grado di identificare per la prima volta quali pazienti con tumori del fegato possono essere sottoposti a immunoterapia neo-adiuvante con alta probabilità di successo. Questo aspetto è molto importante perché può cambiare il destino di chi è affetto da questo tipo di tumore, aprendo la possibilità del trapianto di fegato anche a quei casi che fino ad oggi non avrebbero potuto beneficiarne a causa della gravità della malattia.
Un primo lavoro, pubblicato su Gastroenterology (1), ha identificato una firma molecolare predittiva denominata IFNAP, costituita dalla combinazione di undici geni. Questa “firma”, individuata sulla biopsia del tumore, predice la sensibilità delle cellule tumorali del carcinoma epatico alla classe di farmaci immunoterapici anti-PD1, indipendentemente dall’origine del tumore stesso.
Nello studio è stata utilizzata quindi una biopsia prognostica, in grado cioè di prevedere l’efficacia dei farmaci che potrebbero venire somministrati.
In un altro studio, pubblicato su Gut (2) è stata anche indagata la possibilità di utilizzare la biopsia liquida, estraendo cioè i frammenti di materiale genetico tumorale da un prelievo di sangue. I dati hanno dimostrato che anche con questo metodo è possibile identificare il 90% dei tumori epatici sensibili ai trattamenti con immunoterapici, con vantaggi anche per il paziente che viene sottoposto solo a un prelievo di sangue.
I farmaci immunoterapici anti-PD1 sono entrati ormai da anni nella pratica clinica per il trattamento del melanoma, del tumore polmonare e di altri tumori solidi, ma nel caso del fegato hanno una efficacia variabile e poco prevedibile.
La terapia potenzia le capacità immunitarie dell’organismo e fa sì che sul sito tumorale converga un numero importante di cellule immunocompetenti, capaci di riconoscere e distruggere le cellule oncogene. Solo il 20% dei pazienti risponde a questa terapia, e al momento non si conoscono i meccanismi che ne determinano la sensibilità. Per questo è importante riuscire a identificare i pazienti che potranno beneficiare dei farmaci immunoterapici ed essere quindi candidabili ad altre cure più radicali, come il trapianto epatico.
Un altro recente lavoro pubblicato su Gut(3), curato da Licia Rivoltini dell’Unità di immunoterapia dell’INT e coordinato sempre dal Prof. Mazzaferro, ha dimostrato la possibilità di potenziare l’effetto immunologico dei farmaci anti-PD1 con un pre-trattamento. Trattamenti fisici quali la radio-embolizzazione possono “preparare il terreno” alla terapia vera e propria o la produzione di antigeni specifici tumorali, in grado di attivare gruppi di cellule immunocompetenti contro il tumore, che verranno quindi potenziati dai farmaci immunoterapici.
Questi studi non solo ampliano il ventaglio di possibilità di soluzioni terapeutiche per la cura del tumore epatico - attualmente la quinta più frequente causa di morte per cancro a livello mondiale – ma possono cambiare l’approccio strategico al trattamento di questa tipologia di tumore.
A seguito di ciò, la European Society for Organ Transplantation (ESOT) ha approvatostato approvato l’inserimento dell’immunoterapia neo-adiuvante nelle prossime Linee Guida europee.

[1] Gastroenterology, Molecular Markers of Response to Anti-PD1 Therapy in Advanced Hepatocellular Carcinoma, September 11, 2022 - https://www.gastrojournal.org/article/S0016-5085(22)01039-3/fulltext

[2] GUT, Inflamed and non-inflamed classes of HCC: a revised immunogenomic classification, 2022 Feb 23 - https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/35197323/

[3] Gut, Y90-radioembolisation in hepatocellular carcinoma induces immune responses calling for early treatment with multiple checkpoint blockers, 2021 - https://gut.bmj.com/content/early/2022/05/03/gutjnl-2021-326869