Febbre, profonda stanchezza e debolezza, sudorazione notturna abbondante, forte prurito, dolori alle ossa e dimagrimento. Sono i sintomi principali della mielofibrosi, rara malattia cronica del midollo osseo, difficile da diagnosticare e da trattare. Finora, infatti, le terapie a disposizione erano limitate, senza reali passi avanti nell’ultimo decennio. L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha approvato la rimborsabilità di fedratinib, una nuova terapia mirata attiva sia nei pazienti di nuova diagnosi che in quelli già trattati con la terapia standard, quando questa non è più in grado di gestire la malattia. Fedratinib ha dimostrato di controllare in maniera efficace la splenomegalia, manifestazione clinica caratteristica della mielofibrosi, e i sintomi debilitanti correlati alla malattia, migliorando così la qualità della vita di questi pazienti. “Il trapianto di cellule staminali rappresenta a oggi l’unico approccio curativo, caratterizzato però da limiti importanti: innanzitutto è usualmente effettuato a persone di età inferiore a 70 anni, inoltre serve un donatore compatibile, preferibilmente scelto in ambito familiare perché abbia caratteristiche simili al ricevente” spiega Francesco Passamonti, Ordinario di Ematologia all’Università dell’Insubria di Varese e Direttore Ematologia ASST Sette Laghi di Varese. “Da qui l’importanza dell’approvazione della rimborsabilità di fedratinib da parte di AIFA, che consente di rispondere a necessità cliniche ancora insoddisfatte, per pazienti che hanno urgente bisogno di nuove terapie – sottolinea il prof. Alessandro Maria Vannucchi, Ordinario di Ematologia all’Università di Firenze e Direttore SOD Complessa di Ematologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi di Firenze -. Per la prima volta in quasi un decennio senza progressi, entra nell’armamentario terapeutico una nuova molecola. Fedratinib, un inibitore selettivo della kinasi JAK2, è una terapia mirata orale, che ha mostrato riduzioni clinicamente significative del volume della milza e dei sintomi, in pazienti in cui la malattia è progredita durante il trattamento con ruxolitinib o non trattati in precedenza con inibitori JAK”.