Evd Si chiama “La ScleroderMia è anche Mostra”, la nuova Campagna di sensibilizzazione promossa da Gils (Gruppo italiano per la lotta alla sclerodermia), Liss (Lega italiana sclerosi sistemica) e Amrer (Associazione malati reumatici Emilia-Romagna), con il contributo non condizionato di Italfarmaco, nata con l’obiettivo di accendere i riflettori sulla sclerosi sistemica e fornire ai pazienti informazioni accurate sulla patologia, sul percorso di cura, a oggi non ancora standardizzato e omogeneo in tutte le regioni, e sulle testimonianze degli specialisti e di chi vive la malattia. (www.sclerodermia.info)

La sclerosi sistemica è una malattia progressiva sistemica rara, che colpisce in prevalenza le donne. In Italia, la patologia interessa attualmente quasi 30 mila individui e si sviluppa principalmente tra i 40 e i 50 anni, anche se la sua forma più grave e invalidante può manifestarsi già tra i 20 e i 25 anni. È una malattia del tessuto connettivo che coinvolge la pelle, i vasi sanguigni, il cuore, i polmoni, i reni, il tratto gastrointestinale e l'apparato muscoloscheletrico. Identificare la sclerosi sistemica può essere complesso in ragione delle molteplici manifestazioni della malattia e dei differenti organi che può coinvolgere

“Oggi abbiamo la possibilità di identificare la sclerodermia in modo tempestivo anche nelle fasi più precoci e avviarli in un percorso di approfondimento dell’interessamento degli organi interni in modo tale da decidere una terapia che porti rapidamente ad una remissione con un controllo dell'andamento della malattia nel tempo”, dice Marco Matucci-Cerinic, Ordinario di Reumatologia presso l’Università Vita-Salute San Raffaele. “È importante sottolineare che una diagnosi precoce seguita da un piano terapeutico tempestivo e appropriato ottimizza la risposta del paziente, rallentando l'evoluzione della malattia e riducendo la possibilità che si creino danni tissutali a livello cardiaco, polmonare, renale e gastrointestinale.”

Attualmente i percorsi di cura prevedono una presa in carico a livello ospedaliero e l’utilizzo di dispositivi fissi o indossabili.

“A oggi presso il nostro centro i pazienti vengono gestiti in ospedale con l’ausilio di dispositivi indossabili alla presenza di un infermiere o di un medico, affinché possano intervenire in caso di necessità”, dichiara Massimo Reta, direttore della S.C. Medicina interna a indirizzo reumatologico – Ospedale Maggiore “C.A. Pizzardi” di Bologna. “Oltre ai nostri hub ospedalieri, abbiamo a disposizione 16 sedi territoriali, in alcune delle quali abbiamo avviato la sperimentazione della delocalizzazione dei pazienti in carico alla struttura raggiungendo il nostro obiettivo, ossia permettere ai pazienti di recarsi presso il proprio distretto, diminuendo il tempo di percorrenza dalla propria abitazione al luogo di cura. Un’opzione che ha consentito di aumentare l’aderenza alla terapia in pazienti che in questo modo riescono a seguire il loro percorso di cura.”

Per chi, per condizioni fisiche e/o per problemi logistici non riescono a raggiungere la struttura di riferimento, è possibile oggi offrire anche percorsi di cura a domicilio, grazie all’integrazione ospedale-territorio e alla telemedicina che consente il monitoraggio da remoto.

“Questo nuovo percorso terapeutico consente una gestione più confortevole e che si adatta alle esigenze dei pazienti, un vero modello di integrazione tra l’ospedale e il territorio favorito dalla tecnologia, che apre una nuova era per la lotta alla sclerodermia”, dice Antonino Mazzone, direttore dipartimento Area Medica – Asst Ovest Milanese. “Una piccola ma sostanziale rivoluzione nell’approccio alla malattia che permetterebbe di monitorare il paziente a distanza e di incidere positivamente sulla qualità di vita dello stesso”.

Così Sergio Pillon, vicepresidente Aisdet (Associazione italiana sanità digitale e telemedicina): “Il concetto di casa come primo luogo di cura grazie alla telemedicina deve diventare una realtà. Tale procedura rappresenta, infatti, una grande opportunità, tanto che anche l’Aifa ne ha riconosciuto il valore autorizzando percorsi di domiciliazione per farmaci ospedalieri, secondo la valutazione del medico”.

Prosegue Oscar Massimiliano Epis, direttore della Struttura complessa di reumatologia – Asst Grande Ospedale Metropolitano Niguarda di Milano: “Siamo consapevoli che la gestione delocalizzata dei pazienti rappresenti un’importantissima opportunità in termini di miglioramento della qualità di vita, ma allo stato attuale la domiciliazione, per esempio, non può essere applicata a tutti e in ogni caso è necessario avviare un percorso assistenziale che preveda la loro presa in carico grazie all’aiuto degli infermieri di famiglia oppure presso le case di comunità, essendo la terapia infusionale una terapia che necessita del controllo di un sanitario”,

Conclude Mariabeatrice Elvano, portavoce Liss: “L’obiettivo della Campagna è far emergere con chiarezza la voce dei pazienti e valutare concretamente il pesante coinvolgimento che la malattia implica nella gestione quotidiana della persona e del nucleo familiare”. (n.m.)