
Il monitoraggio ripetuto con l'endoscopia consente una valutazione obiettiva dell'infiammazione e della guarigione della mucosa rispetto ai soli sintomi. Tuttavia, fare affidamento esclusivamente sull’endoscopia per guidare la gestione è un approccio “limitato dai costi e dall’utilizzo delle risorse, dall’invasività e dalla ridotta accettabilità da parte del paziente”, hanno scritto gli autori delle linee guida, che sono state pubblicate da Gastroenterology.
"L'uso dei biomarcatori non è più considerato sperimentale e dovrebbe essere parte integrante della cura e del monitoraggio delle IBD", ha affermato Ashwin Ananthakrishnan, gastroenterologo del Massachusetts General Hospital di Boston e primo autore delle linee guida. “Abbiamo bisogno di ulteriori studi per definire il loro uso ottimale, ma a ci sono ora abbondanti prove che i biomarcatori forniscono un significativo beneficio incrementale rispetto ai soli sintomi nella valutazione dello stato di un paziente”.
Utilizzando evidenze provenienti da studi randomizzati controllati e studi osservazionali e applicandole a scenari clinici comuni, sono disponibili raccomandazioni sull’uso dei biomarcatori in pazienti con malattia accertata e diagnosticata che erano asintomatici, sintomatici o in remissione indotta chirurgicamente. Tali raccomandazioni, presentate in uno strumento dettagliato di supporto alle decisioni cliniche, includono quanto segue:
• pazienti asintomatici: controllare CRP e FCP ogni 6-12 mesi. I pazienti con livelli normali e che hanno avuto una remissione confermata endoscopicamente negli ultimi 3 anni senza alcun successivo cambiamento nei sintomi o nel trattamento, non necessitano di essere sottoposti a endoscopia e possono essere seguiti solo con biomarcatori e controlli clinici. Se CRP o FCP sono elevati (definiti come CRP > 5 mg/L, FCP > 150 mcg/g), va presa in considerazione la ripetizione dei biomarcatori e/o l'esecuzione di una valutazione endoscopica dell'attività della malattia prima di un aggiustamemento del trattamento.
• pazienti lievemente sintomatici: il ruolo del test dei biomarcatori può essere limitato e potrebbe essere necessaria una valutazione endoscopica o radiologica per valutare l'infiammazione attiva, dato il tasso più elevato di risultati falsi positivi e falsi negativi con i biomarcatori in questa popolazione.
• pazienti con sintomi più gravi: in determinate situazioni è possibile utilizzare livelli elevati di CRP o FCP per guidare l'aggiustamento del trattamento senza conferma endoscopica. I livelli normali possono essere falsi negativi e devono essere confermati mediante valutazione endoscopica dell'attività della malattia.
• pazienti in remissione indotta chirurgicamente con una bassa probabilità di recidiva: livelli di FCP inferiori a 50 mcg/g possono essere utilizzati al posto della valutazione endoscopica di routine entro il primo anno dopo l'intervento. Livelli più elevati di FCP dovrebbero richiedere una valutazione endoscopica.
• pazienti in remissione indotta chirurgicamente con un alto rischio di recidiva: non fare affidamento sui biomarcatori ma eseguire valutazione endoscopica.
Tutte le raccomandazioni sono state ritenute di certezza da bassa a moderata sulla base dei risultati di studi clinici randomizzati e studi osservazionali che hanno utilizzato questi biomarcatori in pazienti con malattia di Crohn. Citando una carenza di prove di qualità, gli autori delle linee guida hanno stabilito di non poter formulare raccomandazioni sull’uso di un terzo biomarcatore, l’indice di guarigione endoscopico (EHI).
Anche le recenti linee guida di pratica clinica AGA sul ruolo dei biomarcatori nella colite ulcerosa, pubblicate a marzo, supportano un forte ruolo dei biomarcatori fecali ed ematici, determinando quando questi possono essere utilizzati per evitare valutazioni endoscopiche non necessarie. Tuttavia, nei pazienti con malattia di Crohn, i sintomi non si correlano bene con l’attività endoscopica. Di conseguenza, “la performance dei biomarcatori era accettabile solo in individui asintomatici che avevano recentemente confermato la remissione endoscopica; in quelli senza una recente valutazione endoscopica, la prestazione del test era subottimale”. Inoltre, la correlazione più debole tra sintomi e attività endoscopica nella malattia di Crohn “ha ridotto l’utilità della misurazione dei biomarcatori per dedurre l’attività della malattia nei soggetti con sintomi lievi”.
Bibliografia
Ananthakrishnan AN, et al, AGA Clinical Practice Guideline on the Role of Biomarkers for the Management of Crohn’s Disease. Gastroenterology 2023. DOI:https://doi.org/10.1053/j.gastro.2023.09.029
Intervista
Presente e futuro del trattamento dell’infezione da HIV
Antonella Castagna
Primario Unità di Malattie Infettive
IRCCS Ospedale San Raffaele Turro, Milano
Direttore Scuola di Specializzazione in Malattie Infettive e Tropicali
Università Vita-Salute San Raffaele, Milano