Quando si parla di obesità la definizione corretta è quella di malattia cronica multifattoriale. Errato considerarla un semplice accumulo di chili di troppo, e che si tratti di una condizione che può essere gestita sotto il controllo dell’individuo (o che sfugge alla sua capacità di disciplinare il peso in eccesso). E in quanto vera e propria patologia va affrontata e gestita sotto il controllo medico.
Gli alti tassi di vaccinazione della popolazione adulta statunitense hanno fatto nascere la speranza di un ritorno alla vita prepandemica. Tuttavia, l'accesso differenziato al vaccino, la persistente esitazione al vaccino, le varianti virali emergenti e le ondate di mortalità che ancora si registrano potrebbero ostacolare questa speranza. Date le caratteristiche di SARS-CoV-2, immaginare un futuro stato stazionario può essere intrinsecamente problematico. L’autore di questo lavoro descrive così 4 potenziali scenari: eradicazione, eliminazione, convivenza e conflagrazione. Senza comunque escludere l’affacciarsi di altri possibili scenari.
Si osserva ancora a distanza di 3-6 mesi dall’infezione ma, come già osservato in altri studi per l’anosmia, la sua presenza si fa sempre meno invasiva ed evidente. Il dato rassicurante emerge da uno studio pubblicato su Clinical Gastroenterology and Hepatology. Tuttavia, l'incapacità di aumentare di peso nei pazienti con diagnosi di Covid e malnutrizione è un sintomo persistente che merita maggiore attenzione e questi pazienti dovrebbero essere seguiti anche da un nutrizionista.
Uno studio di popolazione condotto nel Regno Unito ha dimostrato che i pazienti con esordio giovanile del diabete di tipo 2 erano anche a maggior rischio di sviluppare demenza più avanti nella vita. In altre parole la giovane età di insorgenza del diabete sembra essere un fattore di rischio per la successiva demenza.
Malattie epatiche croniche e disturbi da abuso di alcol sono da considerarsi fattori di rischio indipendenti per la mortalità da Covid-19 e hanno anche contribuito al carico di malattia nel 2020. Queste le conclusioni di uno studio presentato all’International Liver Congress (23-26 giugno 2021).
Alcuni dati presentati al congresso Heart Failure 2021 indicano che gli infarti miocardici che si sono verificati durante la pandemia di Covid-19 hanno avuto maggiori probabilità di provocare insufficienza cardiaca rispetto agli eventi verificatisi un anno prima.
Segni conclamati quali febbre, tosse e perdita dell'olfatto o del gusto costituiscono un insieme di sintomi troppo ristretto per poter individuare i casi più lievi. Per ovviare a questo problema i clinici suggeriscono un ampliamento dei sintomi di prima linea, frutto di una collaborazione internazionale.