Chi è carente di vitamina D potrebbe essere a maggior rischio di contrarre il nuovo coronavirus rispetto ai soggetti con livelli sufficienti: lo si legge in un nuovo studio retrospettivo pubblicato su JAMA Network Open. Dai risultati è, infatti, emerso che i individui con carenza di vitamina D non trattata avevano quasi il doppio delle probabilità di risultare positivi per Covid-19 rispetto ai loro coetanei con livelli adeguati di vitamina D.

Il Festival, ospitato dalla città di Latina venerdì 18 e sabato 19 settembre, per il quarto anno consecutivo affronta attraverso il linguaggio cinematografico le grandi tematiche sanitarie e sociali legate ai disturbi del peso, in eccesso o in difetto, e ai disturbi del comportamento alimentare per sensibilizzare l’opinione pubblica e le Istituzioni rispetto a queste malattie, creando consapevolezza.

Un recente studio italiano ha evidenziato che la presenza di patologie neurologiche pregresse si associa sin dall’esordio a forme più gravi di Covid-19. I risultati hanno un rilevante significato in termini di salute pubblica poiché indicano che questi pazienti, soprattutto quando le patologie sono su base vascolare o degenerativa, devono essere attentamente sorvegliati.

L'American Academy of Sleep Medicine ha rilasciato un position statement nel quale si chiede l'eliminazione dell'ora legale, che favorirebbe l’insorgenza di conseguenze pericolose per la salute, se non addirittura fatali. Per il bene della salute pubblica, la comunità scientifica deve impegnarsi per garantire il passaggio a un ora standard permanente, ha commentato Nathaniel P. Watson, presidente dell'American Academy of Sleep Medicine.

Bisogna ora aggiungere l’enantema, ovvero un'eruzione cutanea localizzata alle mucose all'elenco sempre più lungo di sintomi che i pazienti ammalati di COVID-19 possono presentare. In particolare un gruppo di ricercatori spagnoli ha rilevato, in un piccolo gruppo di pazienti, la presenza di enantema orale in aggiunta all'eruzione cutanea esterna, che sembrava comparire circa 2 settimane dopo l'insorgenza dei sintomi.

È stato confermato il primo caso di reinfezione da SARS-CoV-2 e le differenze riscontrate nella sequenza genomica del virus confermano che non si tratta semplicemente di un'infezione prolungata. Il paziente è un uomo di 33 anni che potrebbe rappresentare il primo caso confermato di reinfezione.