Mentre le comunità faticano a far fronte agli effetti della pandemia di Covid-19, in molti si sono concentrati sul fatto che la mancanza di test diffusi ampiamente nella popolazione potrebbe costituire un grave ostacolo nelle fasi di riapertura in sicurezza. Uno degli aspetti presi in considerazione – e fonte di preoccupazione – è stato quello dell'accuratezza e della sensibilità dei test.

Non è raro il riscontro di lesioni renali acute associate al SARS-CoV-2: secondo un recente studio molti pazienti Covid-19 ospedalizzati (fino all'80% dei pazienti in condizioni critiche) sviluppano un danno renale acuto, che però nella maggior parte dei casi non richiede dialisi. In circa la metà dei casi sono presenti proteinuria ed ematuria e gli esami del tessuto renale prelevato da pazienti deceduti mostrano lesioni ai corpuscoli renali (glomeruli), alla membrana filtrante (podociti), ai tubuli renali (cellule tubulari).

La prima risposta alla pandemia della Covid-19 ha visto la progressiva adozione del lockdown da parte dei Paesi via via interessati dalla malattia - che ha dimostrato di essere una delle infezioni respiratorie acute più gravi - con l’obiettivo di rallentarne la diffusione ed evitare il definitivo collasso dei sistemi sanitari. La telemedicina (TM) ha il potenziale di aiutare i pazienti permettendo quindi di ottenere le cure di supporto di cui hanno bisogno e nel contempo di minimizzare il rischio di esposizione ad altri pazienti gravemente malati.

Durante le prime fasi della pandemia erano stati diffusi alcuni dati che avevano rivelato la presenza di Rna virale nelle feci di alcuni pazienti, con una positività mantenuta per una media di 27.9 giorni dopo l’insorgenza dei primi sintomi. Ora è disponibile un nuovo documento, redatto dalla Rice University che ha esaminato una serie di dati, peraltro in continua evoluzione, sul rilevamento del SARS-COV-2 nelle feci di pazienti con Covid-19.

C’è una domanda che, in tutto il mondo, i pazienti che si sono ripresi dalla Covid-19 si pongono: sono immune, almeno per un po'? Un nuovo studio sui coronavirus comuni non è esattamente rassicurante poiché i ricercatori hanno scoperto che "non è raro" per le persone con infezioni da ceppi di coronavirus diversi da quello che causa Covid-19 di avere una recidiva dell’infezione entro un anno.

La curva epidemica nazionale, aggiornata al 31maggio, segna +0,15% contro +0,17% del giorno precedente. Fa eccezione un sottogruppo di persone che non rientra nelle statistiche: sono i pazienti oncologici che ancora soffrono di tassi di mortalità in caso di infezione da Covid-19 decisamente più alti e nei quali l'infezione da Sars-CoV2 può minare il loro già precario equilibrio di salute. Lo denuncia il primo rapporto del Covid-19 and Cancer Consortium (CCC19).

Un nuovo studio suggerisce che la perdita muscolare legata all’invecchiamento possa rappresentare un obiettivo, spesso ancora non riconosciuto, di interventi mirati a prevenire lo sviluppo del diabete negli anziani.