EvdI dati di efficacia a 10 anni evidenziano l’impatto di ocrelizumab sulla prevenzione della progressione della disabilità e sul mantenimento della mobilità in soggetti con forme recidivanti e progressive di sclerosi multipla. Su più di 3.200 donne con SM trattate con ocrelizumab non è stato segnalato alcun aumento del rischio di esiti avversi in corso di gravidanza e nei bambini, con dati real world che hanno dimostrato un basso rischio di recidiva durante e dopo la gravidanza. Gli ultimi risultati di fase III mostrano che l’iniezione sottocutanea è risultata non inferiore all’infusione endovenosa in base ai livelli ematici di ocrelizumab nell’arco di 12 settimane. L’iniezione sottocutanea di 10 minuti potrebbe migliorare l’esperienza di trattamento e ampliare l’uso di ocrelizumab nei soggetti con sclerosi multipla (SM) seguiti presso centri con capacità limitate per la somministrazione EV. I dati sono stati presentati al 9° congresso congiunto ECTRIMS-ACTRIMS (European Committee for Treatment and Research in Multiple Sclerosis/Americas Committee for Treatment and Research in Multiple Sclerosis). “Ocrelizumab è la prima terapia diretta contro i linfociti B approvata per la sclerosi multipla recidivante o primariamente progressiva (SMR e SMPP). È straordinario constatare che, dopo 10 anni di trattamento e 300.000 pazienti trattati in tutto il mondo, la stragrande maggioranza dei pazienti con SMR rimane libera da progressione della malattia” ha dichiarato il Prof. Massimo Filippi, Direttore delle Unità di Neurologia, Neurofisiologia e Neuroriabilitazione dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, Università Vita-Salute, Milano. “Questi risultati indicano che le persone con SMR e SMPP hanno ancora molti anni davanti a sé da vivere in piena indipendenza, in cui non dovranno avvalersi di un ausilio per la deambulazione”.
L’iniezione sottocutanea di ocrelizumab ha determinato una deplezione rapida, prolungata e quasi completa dei linfociti B simile a quella ottenuta con l’infusione EV di (rispettivamente il 97% e il 98% dei pazienti presentavano livelli di linfociti B pari a 5 cellule/µL o inferiori quando sono stati misurati per la prima volta a 14 giorni), che si è mantenuta per 24 settimane. L’iniezione sottocutanea e l’infusione EV di ocrelizumab hanno entrambe prodotto una soppressione rapida e quasi completa dell’attività delle lesioni alla RM entro 24 settimane: la maggior parte dei pazienti non mostrava lesioni captanti gadolinio (Gd+) in T1, espressione dell’infiammazione attiva, e senza lesioni in T2 nuove/aumentate di volume, che espressione del carico lesionale a 24 settimane.

EvdA settembre si è celebrata in tutto il mondo la “Giornata Internazionale per l’Aborto Sicuro”: un diritto che in Italia è garantito dalla legge 194 del 1978, ma che spesso nella pratica si trasforma in una corsa a ostacoli e contro il tempo. Nel nostro Paese, infatti, sebbene l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) sia una prestazione compresa nei LEA - ovvero nell’elenco di prestazioni e servizi essenziali che il Servizio sanitario nazionale è tenuto a fornire a tutti i cittadini -, poco più della metà delle strutture ospedaliere la effettua, e la pillola abortiva (RU486) continua a essere considerata un farmaco rischioso, nonostante in Europa si utilizzi da oltre 30 anni e dal 2006 l’OMS la consideri un farmaco essenziale per la salute riproduttiva. Ma ci sono anche avanguardie, come la Regione Lazio che ha introdotto nel regime ambulatoriale la procedura at home secondo le linee guida internazionali, o come l’Emilia-Romagna che ha iniziato a distribuire la RU486 nei consultori.
È la fotografia, tra luci e ombre, che emerge dal nuovo rapporto “Aborto farmacologico in Italia: tra ritardi, opposizioni e linee guida internazionali” di Medici del Mondo, rete internazionale impegnata a garantire l’accesso alla salute, che evidenzia le ancora forti disuguaglianze nell’accesso alle pratiche abortive attraverso dati, interviste e testimonianze di personale sanitario, attiviste e pazienti raccolte in tutta Italia. Voci che accompagnano il viaggio della campagna “The Impossible Pill”, che, con il linguaggio ironico di Laura Formenti, attraversa il Belpaese dalla Sicilia al Monte Bianco per dimostrare e denunciare quanto l’Italia sia colpevolmente distante dalle direttive dell’OMS. “Abbiamo per te una missione impossibile: trovare la pillola RU486”. Inizia così, con una richiesta alla 007, il viaggio della comica Laura Formenti per “The Impossible Pill”, la campagna di informazione e sensibilizzazione che racconta il percorso a ostacoli che si trovano a percorrere tutte quelle persone che vogliono abortire. Si inizia a Palermo con l’associazione Maghweb, poi ad Ancona con il movimento femminista Non Una di Meno, quindi a Bologna con le attiviste di Mujeres Libres, e a Torino con Tullia Todros, l’ex Primaria del reparto di ginecologia e ostetricia dell’ospedale Sant’Anna. Tappa dopo tappa, incontro dopo incontro, emergono le difficoltà a contattare i consultori e a reperire informazioni sull’aborto farmacologico e sull’iter per accedervi, il problema della controinformazione scientifica, il nodo dell’obiezione di coscienza e dei tempi troppo lunghi per ottenere un appuntamento che mal si adattano alle 9 (in alcune regioni ancora 7) settimane permesse dalla legge, fino allo stigma sociale sull’interruzione di gravidanza e alla solitudine in cui spesso si ritrovano le donne che decidono di abortire. Alla fine, Laura arriva sulla cima del Monte Bianco, uno dei luoghi più inaccessibili del Paese, e, con Elisa Visconti, Direttrice di Medici del Mondo Italia, scopre che nel resto d’Europa così come in molte altre parti del mondo, compresi alcuni Paesi africani, accedere alla RU486 non è così difficile come in Italia, dove l’aborto è troppo spesso caricato di una valenza religiosa, politica e morale. Ma, finalmente, eccola lì: la pillola abortiva RU486 è all’interno di una teca trasparente, incastonata nel ghiacciaio della cima più alta d’Italia. Un’immagine forte, simbolo di protesta e della necessità di portare avanti una battaglia che è soprattutto di civiltà, perché l’aborto è un diritto umano che va garantito e difeso.

EvdÈ da oggi disponibile e rimborsato anche in Italia, l’anticorpo monoclonale bispecifico mosunetuzumab per il trattamento di pazienti adulti affetti da linfoma follicolare (LF) recidivante o refrattario che sono stati sottoposti ad almeno due terapie sistemiche precedenti. Questa importante approvazione arriva in concomitanza con la Giornata Mondiale della consapevolezza sul Linfoma, celebrata lo scorso 15 settembre. L’elevato bisogno clinico è testimoniato dal fatto che la maggior parte dei pazienti con linfoma follicolare recidiva entro cinque anni dal trattamento iniziale e per coloro che hanno ricevuto due o più terapie precedenti, le opzioni di trattamento convenzionale sono attualmente limitate e sono associati a bassi tassi di risposta e di breve durata.
Mosunetuzamab è il primo anticorpo monoclonale bispecifico CD20xCD3 ad essere stato approvato per il trattamento di un linfoma non hodgkin (LNH). Monoterapia, pronto all’uso, ha uno schema di durata fissa, modulabile su ciascun paziente in base alla risposta ottenuta (8 cicli da 21 giorni fino ad un massimo di 17 cicli). L'approvazione è supportata dai risultati dello studio registrativo di fase 1/2 GO29781 (NCT02500407), che ha raggiunto il suo endpoint primario di risposta completa (CR) secondo la valutazione del comitato di revisione indipendente (IRF), ottenendo una percentuale di CR del 60% (IC 95%, 49%-70%) e una percentuale di risposta globale (ORR) dell’80% (IC 95%, 70%-88%). Al successivo follow up di studio, pari a 28.3 mesi, il tasso di CR è stato confermato. Tali risposte si sono dimostrate durature nel tempo: la durata mediana della risposta (DOR) e la durata mediana della risposta completa (DoCR) non sono ancora raggiunte all’ultimo follow up di studio[2]. Nonostante sia un trattamento con durata fissa, i pazienti riescono a mantenere la risposta completa anche post interruzione del trattamento (EOT) e ciò determina che una elevata percentuale di pazienti (77%) rimane libera da progressione (PFS) a 2 anni post EOT e il 100% dei pazienti è vivo a 2 anni post EOT.
Mosunetuzumab è un bispecifico maneggevole. La sindrome da rilascio di citochine (CRS) è risultata l’evento avverso più frequente (44%), la cui quasi totalità di grado lieve e reversibile. Sono stati risolti infatti tutti gli eventi di CRS.

EvdBayer ha annunciato oggi che l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha ammesso alla rimborsabilità vericiguat, un nuovo farmaco per il trattamento dell’insufficienza cardiaca sintomatica cronica, in pazienti adulti con ridotta frazione di eiezione, stabilizzati dopo un recente evento di riacutizzazione, che abbia richiesto una terapia per via endovenosa. Vericiguat ha ricevuto l’approvazione da parte dell’Autorità regolatoria statunitense (FDA) nel gennaio 2021, ed europea (EMA) nel luglio 2021. Con un meccanismo d’azione distinto ed innovativo rispetto a quello delle altre terapie indicate per l’insufficienza cardiaca, vericiguat migliora la funzionalità miocardica e vascolare, inducendo vasodilatazione, aumento della natriuresi e riduzione del rimodellamento e fibrosi miocardica. I ‘pilastri’ della terapia farmacologica (la cosiddetta “terapia quadruplice”) sono gli antagonisti del sistema Renina-angiotensina (RAASi), gli ARNI, i beta-bloccanti, gli anti-aldosteronici (MRA) e gli inibitori del cotrasportatore sodio-glucosio (SGLT2i). “L’obiettivo fondamentale della terapia - spiega il Professor Maurizio Volterrani, Presidente Nazionale di Italian Heart Failure Association (ITAHFA), Professore Ordinario di Metodiche e Didattica delle Attività Motorie dell’Università Telematica San Raffaele di Roma e Direttore del Dipartimento di Scienze Cardiologiche e Respiratorie, IRCCS San Raffaele di Roma - è la prevenzione di episodi di peggioramento, ritardarli il più possibile, anche se si sta seguendo quella che, secondo noi, è la terapia migliore. Per aiutarci è entrato nella pratica clinica vericiguat, che agisce in modo incisivo su questi pazienti, cioè quelli che sono già trattati secondo gli standard raccomandati dalle Linee Guida, ma che vanno incontro a un nuovo peggioramento. Introducendo anche questo nuovo farmaco in associazione alla ‘terapia quadruplice’, si è visto che si riesce a ridurre la mortalità e le ospedalizzazioni in maniera significativa. Inoltre, si registra un miglioramento della qualità di vita, che per il paziente con insufficienza cardiaca rappresenta la cosa più importante”.

Nasce la nuova sede della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Pavia: uno dei corsi di studio con cui ha preso avvio l’ateneo pavese più di 660 anni fa, e che anche quest’anno è stato certificato come il migliore in Italia dalla classifica Censis.
Il Campus della Salute, che ospiterà dai primi di ottobre più di duemila studenti da tutto il mondo, apre le sue porte in quello che fino a pochi anni fa era il padiglione delle Cliniche Mediche del San Matteo. L’edificio, originario degli inizi degli anni ’30 del secolo scorso, ha una superficie totale di 13.000 metri quadrati ed è stato interamente riqualificato con l’impiego di tecnologie orientante alla sostenibilità e all’efficienza energetica. Tutti gli spazi sono stati riprogettati per essere moderni e confortevoli, per offrire così a studenti e docenti un ambiente ideale dove incontrarsi, condividere esperienze e scambiarsi informazioni e conoscenze.
«Il Campus della Salute - anticipa il Rettore Francesco Svelto - si trova poi in una zona strategica della città: nel cuore del Policlinico San Matteo, vicino agli Istituti Mondino e Maugeri, in stretta connessione con i Dipartimenti scientifici e tecnologici dell’Università, a loro volta in fase di profonda riqualificazione nelle loro strutture edilizie».

Il nuovo polo dell’Università di Pavia conta 16 aule didattiche (da 36 a 240 posti, per un totale di 2100 posti), 12 sale studio (260 posti complessivi sui due piani), 4 aule informatizzate. Al piano terra si trova la biblioteca da 200.000 volumi e un’ala è interamente destinata al Centro di Didattica Simulata che consentirà agli studenti esercitazioni chirurgiche innovative. Si tratta di una struttura tecnologicamente all’avanguardia in Lombardia e in Italia, costituita da due ambienti attrezzati come vere e proprie sale operatorie, ciascuna con la propria cabina di regia, un locale con postazioni per simulare piccole operazioni e altre sale per il debriefing. In più: una caffetteria, spazi ristoro autonomo e aree verdi all'aperto.
Nell'ultimo anno accademico gli iscritti ai corsi UNIPV di Medicina e Chirurgia, su tutti i sei anni di studio, sono stati complessivamente 2.326: 1.580 al corso "Golgi" in lingua italiana e 746 al corso "Harvey" interamente in lingua inglese. I posti per le nuove matricole per l'a.a. 2023/2024 sono cresciuti a quota 388 nel primo caso e 103 nel secondo.