La dermatite atopica grave interessa, in Italia, oltre 35.000 bambini e adulti. È ora disponibile abrocitinib, rimborsato dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) per i pazienti adulti con forma severa, candidati a terapia sistemica. Una nuova opzione terapeutica, rimborsata dal SSN (G.U. del 27 gennaio 2023), che potrà rivoluzionare la gestione clinica della dermatite atopica consentendo di raggiungere risultati che fino a poco tempo fa sembravano irraggiungibili. "Abrocitinib è un farmaco orale, assunto con una sola somministrazione al giorno, che agisce bloccando una Janus chinasi che interviene nella trasduzione di segnali infiammatori della dermatite atopica – spiega Giampiero Girolomoni, Direttore UOC di Dermatologia e Malattie Veneree Azienda Ospedaliera di Verona – Si tratta di un antinfiammatorio specifico per questa malattia cutanea, che agisce bloccando sia i mediatori dell’infiammazione sia i mediatori del prurito: in questo modo riduce l’infiammazione cutanea e riduce il forte prurito. Il meccanismo d’azione è abbastanza rapido e nel giro di pochi giorni i pazienti riscontrano un miglioramento della sintomatologia. Abrocitinib va somministrato a pazienti selezionati e monitorati, giovani/adulti (dai 18 anni di età) colpiti da una malattia grave. Sei sono gli studi che sono stati condotti per valutare efficacia e sicurezza del farmaco, rigorosi e su vaste popolazioni, controllati e randomizzati, verso placebo o verso altri farmaci attivi di riferimento che hanno dimostrato la superiorità di abrocitinib nella risoluzione precoce di segni e sintomi e un’ottima tollerabilità. Il farmaco può essere assunto per tutto il tempo che serve, può essere interrotto e ripreso a seconda delle necessità. Si inizia la terapia con una dose un po' più alta e man mano si riduce il dosaggio a seconda della risposta del paziente, fino ad arrivare ad una dose di mantenimento".

Una piattaforma per supportare i pazienti affetti da Sindrome dell’Intestino Corto (SBS) creando un link tra i Centri specializzati e i Centri NAD (Nutrizione Parenterale Domiciliare), tenendo conto delle differenze che ci sono tra le Regioni nella gestione del percorso terapeutico. Il progetto, promosso da Takeda Italia, si propone di favorire la creazione di un percorso ad hoc che supporti la presa in carico della persona affetta dalla patologia con un approccio multidisciplinare, facilitando così anche il percorso terapeutico. Si tratta di un progetto per migliorare la qualità della vita dei pazienti colpiti da SBS (Sindrome dell’intestino corto), una rara condizione che coinvolge l’intestino tenue, portando a una riduzione della capacità dell’intestino stesso di assorbire i nutrienti provenienti dall’alimentazione. In genere si manifesta nella 2°-3° settimana di vita e tra i fattori di rischio ci sono l’essere prematuri, un basso peso alla nascita, l’allattamento artificiale ma anche fattori genetici. I pazienti con SBS sono sottoposti a Nutrizione Parenterale Domiciliare (NAD), terapia salvavita principale per questo tipo di patologia che al contempo ha un grande impatto sulla qualità della vita delle persone affette dalla malattia. (Fonte: https://www.gi-point.it/sbs/scopri-sbs/sindrome-intestino-corto-cos-e/).
Per supportare le persone che convivono con la SBS, Takeda promuove il progetto “Referral to Care”: si tratta di una piattaforma che mette in collegamento gli specialisti NAD e gli specialisti che lavorano nei centri di riferimento per la SBS, costruendo un percorso ad hoc che favorisce la presa in carico con un approccio multidisciplinare, facilitando così il percorso terapeutico. Tecnicamente l’app consente di pianificare visite o day hospital permettendo così al paziente di accedere rapidamente ai centri di riferimento SBS in modo da essere gestito da un centro multidisciplinare dedicato.
“Questa piattaforma – spiega Carolina Ciacci, Professore ordinario di Gastroenterologia dell’Università di Salerno, direttore UOC Gastroenterologia della AOU San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona di Salerno – mette in rete i Centri NAD e i Centri ospedalieri che possono offrire un approccio multidisciplinare in grado di gestire una serie di problemi che si riscontrano negli anni e che vengono seguiti in poche strutture. L’idea è che il paziente non debba affrontare da solo le visite specialistiche prenotandole di volta in volta ma entri in un sistema di Rete, in cui l’organizzazione venga lasciata alla Rete stessa”.
Una rete, quindi, che supporti anche il lavoro di mappatura del territorio dando a tutti i pazienti le possibilità indipendentemente dal posto in cui si vive.
“Per tutte le patologie rare è importante creare una rete intorno al paziente con dei Centri che abbiamo una expertise specifica che quindi siano in grado di fare una diagnosi tempestiva e prenderlo in carico con un approccio multidisciplinare. Ma non è tutto: Rete vuol dire anche informazione e formazione, perché i medici di base e gli specialisti devono sapere a chi rivolgersi e come farlo – spiega Giuseppe Limongelli, Direttore responsabile del Centro di Coordinamento Malattie Rare della Regione Campania – Dobbiamo guardare ad una sanità declinata sul territorio, come prevede il Decreto Ministeriale 77. In questo sistema il ruolo dei Centri di Coordinamento è fondamentale affinché il paziente sia seguito in tutto il percorso. “Referral to care” è uno strumento che va in questa direzione e che ci aiuta nell’operazione di mappatura dei presidi territoriali, la sfida più grande che vogliamo vincere”.

Lo scorso 2 marzo, Aifa ha ammesso alla rimborsabilità bimekizumab per il trattamento della psoriasi a placche da moderata a severa negli adulti candidati alla terapia sistemica. Con l’approvazione da parte della Commissione europea nell’agosto del 2021, bimekizumab è il primo trattamento per questa patologia progettato per inibire selettivamente e direttamente le interleuchine Il 17 A, e Il 17 F, molecole messaggere del sistema immunitario all’organismo, che svolgono un ruolo chiave nei processi infiammatori.

È stata presentata in Senato la versione aggiornata del Manifesto “La Salute nelle Città: Bene Comune”. Il documento definisce i punti fondamentali della città come bene comune e traccia le linee guida per rendere la realtà urbana rispondente all’idea di salute come stato di completo benessere fisico, mentale e sociale. Il Manifesto “La Salute nelle Città: Bene Comune”, è stato lanciato per la prima volta nel 2016 e l'attuale revisione si è resa urgente soprattutto dopo gli eventi dell’emergenza Covid. Ad oggi il 37% della popolazione italiana vive nelle aree Metropolitane; diventa sempre più importante la riqualificazione e la rigenerazione urbana considerando la salute come fattore di crescita e coesione che renda le città italiane delle Health City, cioè promotrici della salute, amministrate da politiche chiare per tutelarla e migliorarla. La stesura e la revisione del Manifesto è stata realizzata grazie al contribuito di oltre 200 esperti e 36 tra Istituzioni, enti, università, società scientifiche, associazioni pubbliche e private tra cui ANCI, Intergruppo Parlamentare Qualità di Vita nelle Città, Sport e Salute, Health City Institute, C14+, Federsanità, Istituto per la competitività I-COM, Fondazione SportCity. “Urban Health e One Health corrono sullo stesso binario, perché il benessere dei cittadini è incentrato su un approccio olistico che vede salute umana, animale e ambientale strettamente correlate fra loro”, dichiara il Sottosegretario di Stato alla Salute Marcello Gemmato. "La parola chiave è ‘prevenzione’: che significa educazione a corretti stili di vita, attività fisica, conoscenza dei fattori di rischio per la salute, fra cui anche l’inquinamento atmosferico e acustico delle città e la loro ‘fisicità’, ovvero la disponibilità o meno di spazi verdi accessibili, trasposto urbano, servizi educativi e sanitari. La pianificazione urbana può rappresentare, quindi, una forma di “prevenzione primaria” che, attraverso politiche intersettoriali e con il coinvolgimento delle comunità interessate, diventa strategica nel processo di promozione della salute a tutti i livelli".

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Il 25 e 26 maggio, si terrà a Genova, presso la Sala Convegni dell’Ordine dei Medici di Genova, la diciannovesima edizione del corso di orientamento di Medici in Africa, rivolto a medici, infermieri, fisioterapisti ed ostetriche che intendano partecipare a missioni di volontariato nei paesi africani o in altri paesi in via di sviluppo. Il corso si propone di fornire, in tempi brevi, informazioni su volontariato in Africa, etnomedicina, cenni di diagnosi e terapia di malattie tropicali di frequente riscontro, patologie ostetrico-ginecologiche, farmaci nei paesi remoti. Inoltre verranno illustrati i fondamenti per l’auto-protezione e pratica di rianimazione neonatale. Durante il Corso gli iscritti saranno in contatto con alcune organizzazioni (Onlus e Ong) che lavorano e/o che gestiscono ospedali nei paesi in via di sviluppo e potranno prendere accordi diretti. Il Corso è a numero chiuso, con un numero minimo di 15 ed un numero massimo di 40 partecipanti e sarà accreditato ECM (13.6 crediti formativi). Il costo dell’iscrizione al corso è di 150 euro per i medici e 80 euro per gli infermieri, ostetriche, dietisti e fisioterapisti entro il 20 aprile. Per le iscrizioni dopo il 20 aprile, il costo è di euro 200 per medici e 120 per le altre professioni sanitarie. 
Il corso è patrocinato dall’Ordine Provinciale dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Genova. Per le iscrizioni al corso ed ulteriori informazioni contattare: MEDICI IN AFRICA ONLUS, Segreteria Organizzativa da lun. a ven. 09.45/13.45 tel 010 8495427 – 349 8124324. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. www.mediciinafrica.it